Breve introduzione agli obiettivi anamorfici

Mentre gli obiettivi sferici contengono unicamente lenti circolari e proiettano un’immagine rotonda, quelli anamorfici contengono uno o più elementi di forma cilindrica e proiettano un’immagine ovale. È per questo motivo che gli obiettivi anamorfici producono immagini compresse in senso orizzontale e allungate in senso verticale. I fotogrammi acquisiti attraverso un obiettivo anamorfico devono essere processati affinché i soggetti ritratti appaiano naturali; le immagini devono essere allungate in senso orizzontale per acquistare l’aspect ratio del sensore o della pellicola in uso; questo processo viene chiamato de-squeeze e può essere effettuato in camera, in post produzione o in fase di proiezione.

I primi obiettivi anamorfici furono creati affinché le immagini in formato panoramico potessero utilizzare tutta l’area della pellicola cinematografica anziché lasciare inutilizzata la parte superiore e inferiore del fotogramma. Questi obiettivi servivano quindi per ottenere immagini della massima qualità anche nei formati 2.35 o 2.39, grazie al pieno sfruttamento della risoluzione verticale della pellicola. Rispetto agli sferici, gli obiettivi anamorfici producevano immagini panoramiche decisamente più nitide e con grana più fine. Per dare un’idea di quanta sia la differenza tra i due sistemi basta considerare che utilizzando un obiettivo sferico per acquisire immagini 2.39:1 su pellicola 35mm si utilizza solo il 50% del fotogramma, mentre una lente anamorfica ne può sfruttare il 100%.

Molte lenti anamorfiche sono in realtà delle lenti sferiche alle quali sono stati aggiunti degli elementi ottici al fine di trasformarle. Ciò rende questo tipo di obiettivi particolarmente ingombranti, ne riduce la trasmittanza e spesso anche la correzione ottica, soprattutto per quanto concerne la distorsione.

Il look che nell’immaginario comune è associato alle lenti anamorfiche è in realtà caratteristico soltanto della tipologia front-mounted, in cui la compressione del rapporto di aspetto viene realizzata dagli elementi frontali dell’obiettivo. Le immagini prodotte dalle anamorfiche rear mounted sono in tutto e per tutto simili a quelle ottenibili con obiettivi sferici.

Oggi, soprattutto in digitale, le lenti anamorfiche vengono utilizzate principalmente per ragioni estetiche, per la particolare resa del fuori fuoco, per la correzione ottica inferiore rispetto agli equivalenti obiettivi sferici, per i riflessi interni lineari, nonché per la marcata vignettatura e il visibile decadimento della resa a bordo fotogramma; queste ultime due caratteristiche vengono comunemente indicate in coppia con l’espressione anamorphic falloff.

Rispetto alle lenti sferiche, le anamorfiche impongono un peso e un ingombro nettamente superiori, costi ben più elevati, parchi ottiche decisamente più ristretti e lenti meno luminose, soprattutto tra gli zoom. Va poi considerato un altro fattore, in questo confronto: per produrre lo stesso angolo di campo di una lente sferica, una lente anamorfica necessita di una lunghezza focale sensibilmente maggiore. Di conseguenza, a parità di diaframma e di angolo di campo, le lenti anamorfiche presentano una profondità di campo visibilmente più ristretta rispetto alle sferiche. Le lenti anamorfiche offrono ache una minima distanza di fuoco particolarmente elevata, in genere tra 1 e 3 metri; è per questo motivo che gli obiettivi anamorfici vengono spesso affittati assieme a un kit di lenti addizionali.

Per un approfondimemento sulle lenti addizionali: Lenti addizionali e bifocali

Sono molti i registi e i DP che da sempre preferiscono evitare le seccature che comporta lavorare con lenti anamorfiche e scelgono le sferiche a prescindere, anche per produzioni in pellicola in formato panoramico. Allo stesso modo ci sono registi che hanno strettamente legato la propria carriera all’estetica delle lenti anamorfiche e ne considerano le controindicazioni un adeguato prezzo da pagare.

Personalmente trovo che la caratteristica più interessante delle lenti anamorfiche sia il particolare rapporto tra angolo di campo orizzontale, angolo di campo verticale e resa prospettica che queste ottiche riescono a produrre.

Come si può vedere confrontando le due immagini qua sopra, l’aggiunta dell’adattatore anamorfico ha prodotto un angolo di campo orizzontale decisamente più ampio di quello ottenibile con la semplice lente sferica, lasciando però pressoché invariato l’angolo di campo verticale. Per la precisione, dal momento che l’adattatore anamorfico utilizzato per questo test aveva un valore di moltiplica pari a 1.25, il campo orizzontale mostrato nella seconda immagine è il 25% più largo rispetto a quello visibile nella prima.

Per inquadrare col solo 28mm la stessa porzione di campo orizzontale resa visibile dall’utilizzo dell’dattatore anamorfico, avremmo dovuto allontanare molto la camera dal soggetto e questo avrebbe comportato sia una maggiore compressione prospettica che un sensibile aumento del campo verticale.

Vediamo infine cosa accade quando s’importa una sequenza anamorfica in timeline. Prima di comunicare al programma che tale sequenza va interpretata in maniera particolare, il programma la gestisce come qualsiasi altra immagine composta da pixel quadrati e ne mantiene il rapporto d’aspetto (IMG 1). Nel nostro caso, avendo girato in 16:9 e montando in 1:2.39, questo comporta che l’immagine non solo appaia deformata in senso verticale, ma che venga anche tagliata in altezza per rientrare nelle proporzioni del fotogramma.

Quando informiamo il programma che in realtà i pixel della nostra immagine vanno considerati rettangolari e indichiamo il loro rapporto d’aspetto – nell’esempio in causa 1:1.25 – il programma effettua il necessario de-squeeze e conferisce all’immagine le giuste proporzioni (IMG 2) reinserendo nel fotogramma quanto era stato precedentemente lasciato fuori.