Attacchi M42 e P6
Nel secondo dopoguerra, quando Berlino Est finì sotto il controllo sovietico, la sede storica della Carl Zeiss, situata a Jena, passò in mano ai russi. I dirigenti Zeiss, insieme a gran parte degli ingegneri e degli scienziati dell’azienda, si spostarono così a Oberkochen, nella Germania Est, per continuare là il proprio lavoro. A Jena, invece, sotto la direzione sovietica, s’iniziarono a produrre ottiche a marchio Carl Zeiss Jena. La battaglia legale per il nome Zeiss tra le due aziende durò decenni e fu molto complessa, per questo esistono esemplari Carl Zeiss Jena marchiati semplicemente aus Jena. Le due Zeiss si sono unificate pochi anni dopo la caduta del muro di Berlino, sotto il brand Carl Zeiss. I controlli qualità e i materiali utilizzati a Oberkochen erano decisamente superiori a quelli impiegati a Jena. A destra del muro, per esempio, non si faceva uso di ottone per le ottiche fotografiche, ma si preferiva inviare il prezioso metallo in Russia. A causa degli standard di produzione piuttosto bassi, gli obiettivi Jena presentano spesso problemi meccanici o di collimazione ottica; i difetti sono particolarmente diffusi tra gli esemplari più recenti. Di contro, le copie ben riuscite offrono sempre prestazioni ottiche di alto livello in relazione al tempo.
Le ottiche Zeiss Jena in montatura P6 erano destinate al sistema medio formato Pentacon, a differenza delle M42, che erano progettate per coprire il 35mm.
È possibile trovare ottiche Zeiss Jena anche Made in Japan; sono obiettivi economici anni ’90 di produzione interamente giapponese, per i quali il marchio tedesco concesse in licenza l’utilizzo del proprio nome.
La sigla 1Q riportata su alcune ottiche Zeiss Jena equivale più o meno all’adesivo Passed un tempo utilizzato dalle produzioni giapponesi; non è altro che una sigla di autocertificazione di qualità e non contraddistingue degli esemplari usciti da linee produttive particolarmente rigorose.
Un elenco completo degli obiettivi Carl Zeiss Jena è consultabile sul sito web AllPhotoLenses.
Carl Zeiss Jena Flektogon MC 20/2.8 – M42
Carl Zeiss Jena Flektogon electric MC 20/2.8 – M42
È il solo 20/2.8 vintage dotato di una buona corsa di fuoco e facilmente adattabile a Canon EF.
Segnalo prima di tutto che ognuna delle 12 copie messe al banco ha presentato sia problemi di wiggle che una centratura ottica imprecisa. Nella maggior parte dei casi il gioco era contenuto e visibile solo alle brevi distanze di fuoco, ma i difetti di collimazione erano evidenti in ogni esemplare. Tutte le copie hanno mostrato anche un problema legato al diaframma, che non riusciva ad aprirsi completamente o che raggiunta la massima apertura tendeva poi a richiudersi quasi 1/3 di stop.
Considerate anagrafe, lunghezza focale e apertura massima, le prestazioni ottiche di quest’obiettivo sono ottime. In zona centrale, su un’aria ampia circa 1/3 di fotogramma, contrasto e risoluzione sono più che sufficienti sin dalla piena apertura. Le aberrazioni cromatiche sono contenute e i colori sono vividi e corposi. Da f/4 l’aberrazione sferica e il leggero coma presenti alla piena apertura non sono più visibili, l’obiettivo produce immagini plastiche, incisive, dai colori puliti, densi e ricchi di sfumature. Chiudendo ancora il diaframma si raggiungono livelli decisamente ottimi, con un picco qualitativo a f/5.6. Ai bordi la situazione è molto diversa. In questa zona aberrazione sferica, coma e astigmatismo sono notevoli; solo a f/4 si ottiene un sufficiente livello di nitidezza. Per ottenere una buona incisività all’estrema periferia del fotogramma è necessario f/8. A peggiorare le cose è la curvatura di campo, che si fa irrilevante solo a f/11.
La riproduzione del fuori fuoco è morbida e progressiva, la vignettatura è contenuta e la distorsione è corretta particolarmente bene per un 20mm non asferico. La resistenza ai riflessi interni è sufficiente. Dal punto di vista cromatico si nota un picco di saturazione nei toni tra il verde e l’arancio.
È degna di nota la minima distanza di fuoco di soli 19cm.
Dal punto di vista meccanico, al di là dei problemi di wiggle, l’obiettivo appare poco solido e piuttosto plasticoso; sia la ghiera del diaframma che il relativo comando A/M presentano giochi e non trasmettono un senso di affidabilità. La ghiera della messa a fuoco, però, negli esemplari migliori, ruota con fluidità e offre un’adeguata resistenza sia per l’utilizzo a mano libera che col follow focus.
La versione electric presenta dei contatti elettrici attorno alla vite M42; questi non influiscono in alcun modo sull’utilizzo dell’obiettivo se si lavora con corpi macchina contemporanei.
Carl Zeiss Jena Pancolar 80/1.8 – M42
Uno dei migliori 80-90mm dell’era manuale. Alla massima apertura contrasto e risoluzione sono già buoni, le immagini sono utilizzabili a tutto campo; i bordi sono più morbidi del centro ma non di troppo. Nelle zone colpite da luce intensa, in particolare se sovraesposte, è possibile notare un leggero glow. La vignettatura è difficilmente percepibile e le aberrazioni cromatiche sono visibili, ma risultano fastidiose solo in situazioni estreme. La distorsione è pressoché nulla. A f/2.8 la correzione ottica si fa molto buona su quasi tutto il fotogramma; il glow viene soppresso e le aberrazioni cromatiche sono decisamente ridotte. A f/4 la resa è ancora più incisiva e brillante, solo i bordi estremi traggono evidente miglioramento da un’ulteriore diaframmatura.
Rispetto al Planar 85/1.4 il contrasto è leggermente inferiore ai diaframmi equivalenti, anche per via dell’antiriflesso meno efficace. La scarsa resistenza ai riflessi interni, in special modo alla piena apertura, è sicuramente uno dei punti deboli di quest’obiettivo. Tra f/1.8 e f/2, quando una sorgente di luce viene inclusa nel fotogramma, si forma un flare anulare intenso e molto largo; ai diaframmi successivi questo scompare completamente, tuttavia, in situazioni di controluce, è facile che si verifichi una marcata perdita di contrasto.
La risposta cromatica, tutto sommato fedele, rivela una leggera tendenza magenta.
La riproduzione del fuori fuoco non è particolarmente morbida; si notano spesso un certo nervosismo e transizioni piuttosto brusche. Gli highlight disc, che ai diaframmi più aperti sono nettamente bordati dietro al piano di fuoco, iniziano a ovalizzarsi a breve distanza dall’asse ottico.
Buona parte delle copie testate ha presentato una rotazione della ghiera del fuoco non perfettamente omogenea; in nessun caso l‘intervento di pulizia e relubrificazione delle elicoidi ha risolto il problema.
Carl Zeiss Jena Sonnar “Zebra” 180/2.8 – P6
Carl Zeiss Jena MC Sonnar 180/2.8 – P6
Carl Zeiss Jena “Red MC” Sonnar 180/2.8 – P6
Quest’obiettivo è l’ultimo erede del Carl Zeiss Jena Olympia Sonnar del 1936, una pietra miliare dell’ottica fotografica, disegnata dal fisico Ludwig Bertele.
La versione MC e la successiva “Red MC”, entrambe dotate di antiriflesso multistrato e di barilotto nero, si differenziano per la colorazione della dicitura MC sul nameplate frontale, che in un caso è bianca e nell’altro rossa. La versione informalmente chiamata “Zebra”, più anziana e dotata di antiriflesso a strato singolo, si contraddistingue invece per le ghiere a strisce argento e nero. Del Jena 180/2.8 esistono anche altre versioni, facilmente identificabili per l’assenza sia della dicitura MC che della livrea zebrata. Il mio consiglio è di evitarle tutte, in quanto meno affidabili o meno pratiche dal punto di vista meccanico e in alcuni casi prive di trattamento antiriflesso.
Grazie a una ghiera della MAF relativamente leggera, oltreché fluida e precisa, sfruttando la connessione per il treppie di offerta dal barilotto è possibile, seppure tutt’altro che semplice, evitare vibrazioni durante le transfocature. Trattandosi di una lente medio formato il peso è notevole e anche questo aiuta la stabilità delle riprese. L’attacco per il treppiedi non è d’intralcio al follow focus ma è decisamente sottodimensionato e in gran parte delle copie testate la vite di blocco, forzando un poco, non impediva all’obiettivo di ruotare.
Tutte le versioni di questa lente sono note per presentare problemi legati al diaframma, spesso bloccato o incapace di chiudersi completamente. Nel primo caso una normale pulizia e sostituzione dei lubrificanti è di norma sufficiente a risolvere il difetto, nel secondo caso invece può rivelarsi necessaria la sostituzione di una molla non semplice da reperire.
A f/2.8 contrasto e risoluzione sono frenati dall’aberrazione sferica e da un leggero flare di coma; nelle zone colpite da luce intensa si nota un marcato effetto glow. Nonostante ciò la nitidezza percepita è più che sufficiente su tutto il frame nella maggior parte dei casi. A f/4 risoluzione e contrasto salgono in maniera decisa producendo buone immagini a tutto campo. A f/5.6 aumentano soprattutto il contrasto e la pulizia cromatica. Diaframmare ancora non apporta miglioramenti significativi alla qualità d’immagine. L’intonazione cromatica è decisamente calda in tutte le versioni e tende a un giallo-ambra molto apprezzato nella riproduzione degli incarnati.
Essendo una lente concepita per coprire il medio formato, i bordi estremi del Super35 si trovano ancora in area centrale rispetto al cerchio di proiezione e di conseguenza offrono una resa quasi identica a quella in asse. Distorsione e vignettatura sono impercettibili.
Le aberrazioni cromatiche sono ben visibili a f/2.8 ma inferiori a quelle riscontrabili in qualsiasi altro 180-200mm vintage privo di vetri a bassissima dispersione; da f/4 sono già molto ridotte e da f/5.6 sono presenti solo in situazioni davvero complesse.
Il focus breathing è minimo e la tessitura del fuori fuoco è morbidissima.
La resistenza ai riflessi interni è decorosa nella versione Zebra e buona nella versione MC, che di conseguenza tende a produrre immagini leggermente più contrastate. La versione MC offre anche un sistema di serraggio più efficace per quanto riguarda il blocco dell’anello che reca l’attacco per il treppiedi. Per il resto le differenze tra le due edizioni sono esclusivamente estetiche. La versione Red MC si distingue per un diverso meccanismo del diaframma, del quale tratteremo tra poco.
Nonostante queste lenti presentino una filettatura frontale da 86mm è possibile utilizzare filtri a vite di dimensioni inferiori; questo, sempre per il fatto che gran parte della proiezione ottica non viene sfruttata dai sensori Super35. Utilizzando un comune step-down ring ci si rende conto che neppure i filtri da 77mm risultano eccessivamente piccoli. Anche i matte box possono essere sottodimensionati, ma solo al prezzo di una certa scomodità.
Nessuna delle copie messa al banco ha mostrato il minimo problema di wiggle o di centratura ottica.
Si tratta nel complesso di un buon 180mm. Fa sicuramente sentire la propria anzianità ma offre prestazioni adeguate nella maggior parte dei casi e vanta una plasticità di resa non comune tra le ottiche di pari focale. A indurre a cercare altrove è più che altro la massima apertura, non molto incisiva e facilmente viziata da aberrazioni cromatiche.
Sia la versione Zebra che la MC presentano un insolito meccanismo del diaframma che riduce progressivamente l’apertura massima impostabile quando la ghiera della MAF viene ruotata verso la minima distanza di fuoco. In pratica, se si mette a fuoco a infinito e si imposta f/2.8, una volta raggiunta la minima distanza di fuoco ci si ritrova a f/3.5 e non si riesce ad aprire il diaframma oltre quel valore; riportato il fuoco a infinito il diaframma resta a f/3.5 ma può essere riaperto. Impostando direttamente l’obiettivo a f/3.5 si può lavorare senza problemi, ma volendo sfruttare la massima apertura è possibile che l’immagine si scurisca in maniera visibile nel corso della ripresa, in base a quanto il fuoco viene modificato. La versione “Red MC” possiede un meccanismo del diaframma di tipo tradizionale e non presenta il problema qui descritto.