Il colore di un oggetto è determinato dalle frequenze luminose che questo riflette quando viene colpito da una luce. Di conseguenza, per ottenere colori naturali utilizzando una sorgente di luce artificiale è necessario che tale luce possieda tutte le lunghezze d’onda della luce visibile e che non siano presenti dominanti cromatiche né picchi o flessioni della saturazione in corrispondenza di certi colori. Solo in questo modo un oggetto potrà riflettere le stesse frequenze luminose che rifletterebbe se colpito dalla luce solare e quindi apparirci naturale.
Per misurare la resa cromatica di un illuminatore esistono quattro sistemi principali: CRI, CQS, TLCI e TM-30. Ognuno di questi sistemi basa le proprie valutazioni su una scala da 0 a 100 e fa corrispondere a 100 il risultato migliore. In genere si ritiene adeguato all’utilizzo cinematografico un illuminatore che abbia ottenuto una valutazione di almeno 90 e si considera ottimo un risultato superiore a 95.
CRI
Il Color Rendering Index è il più vecchio sistema di misurazione della resa cromatica ed è ancora lo standard del settore.
La misurazione CRI classica, denominata CRI (ra), confronta l’aspetto di otto patch di colore sotto una sorgente luminosa di prova con l’aspetto delle stesse patch sotto una sorgente luminosa standard. Questo sistema funziona molto bene per misurare la risposta cromatica di sorgenti luminose a spettro completo, come il sole o i proiettori tungsteno, ma si basa su patch a saturazione troppo bassa per offrire risultati affidabili quando si esaminano illuminatori LED, HID e Fluorescenza.
L’evoluzione del sistema CRI (ra) è il CRI (re). Quest’ultimo aggiunge sette patch alle otto di base, introducendo tonalità altamente sature per migliorare l’affidabilità delle valutazioni. A differenza del CRI (ra), il CRI (re) include delle patch per i toni della pelle.
Anche il CRI (re) si è dimostrato un sistema di misurazione inadeguato a valutare con precisione la risposta cromatica di certi illuminanti LED, HID e Fluorescenza in quanto il numero di patch utilizzate è comunque troppo contenuto per identificare i picchi e le flessioni più strette di uno spettro luminoso. In sostanza, tanto più la sorgente di luce è di bassa qualità e offre uno spettro luminoso eterogeneo, tanto meno i risultati offerti dai test CRI risultano affidabili.
Va anche considerato che il valore CRI attribuito a un corpo illuminante nasce dalla media dei valori CRI che questo ha fatto registrare in relazione alle singole patch. Di conseguenza, trattandosi di una media, è del tutto possibile che un illuminatore a CRI 95 non abbia raggiunto neppure il CRI 80 su una delle 15 patch; e questa patch potrebbe essere proprio la R9, quella di colore rosso, una tinta cruciale per la riproduzione degli incarnati.
Le patch alle quali si fa maggior attenzione per la qualità degli incarnati sono le R9 (Strong Red), R13 (Light Yellowish Pink) e R15 (Asian Skin). Dopodiché si consiglia di controllare le R10 (Strong Yellow), R11 (Strong Green), R12 (Strong Blue) e R14 (Moderate Olive Green) perché se anche queste quattro patch offrono buoni risultati è molto probabile che la sorgente luminosa sia affidabile su tutto lo spettro.
Nella mia esperienza ho trovato piuttosto comune che anche le luci migliori, magari ottime sull’R9, presentino una flessione sull’R11 e/o sull’R12.
Nell’immagine qua sopra si possono vedere le 15 tinte utilizzate dal sistema CRI (re) e le relative valutazioni ricavate analizzando una sorgente luminosa con un termocolorimetro. Il valore Ra è la media delle valutazioni relative ai primi 8 colori, che sono quelli considerati appunto dal sistema CRI (ra). La sorgente luminosa qui analizzata è un LED COB daylight da 100w, che nonostante gli eccellenti risultati presenta una forte dominante verde.
È bene sapere che il CRI indicato nelle specifiche dei prodotti, salvo diversa indicazione, è sempre il CRI (ra).
CRI R9
Il CRI R9, abitualmente indicato solo come R9, si riferisce alla resa di un illuminatore in relazione alla patch R9 del sistema CRI (re). Il CRI R9 non è quindi un sistema di misurazione della resa cromatica a sé stante, ma semplicemente il risultato di una singola valutazione del sistema CRI (re).
La patch R9, tecnicamente definita TCS9 come acronimo diTest Color Sample 9 , è denominata Strong Red ed è di un rosso ad alta saturazione particolarmente difficile da riprodurre in maniera fedele ma cruciale per una corretta rappresentazione degli incarnati. È per questo motivo che molti produttori hanno iniziato a indicare la resa dei propri illuminatori in relazione a questa specifica patch, per la quale un CRI 90 è già considerato molto buono.
Un approfondimento sul CRI
Quanto è affidabile l’indicazione del CRI riportata nelle specifiche degli illuminatori e quanto è davvero importante, nella pratica, il CRI medio di una sorgente luminosa? In che misura il CRI di un proiettore può essere influenzato dall’utilizzo di modificatori, filtri e supporti di riflessione? Nel video si propone una risposta a queste domande. L’obiettivo è fare chiarezza tra le tante idee imprecise, confusionarie o semplicemente sbagliate, spesso associate al tema del CRI.
CQS
Il Color Quality Scale è un sistema nato per superare i limiti del CRI. Oltre a sfruttare uno spazio colore diverso e utilizzare criteri di valutazione differenti, il CQS impiega 15 patch tutte altamente sature. In teoria questo dovrebbe fornire informazioni più precise quando si tenta di rilevare i picchi spettrali di LED, HMI e Fluorescenza, ma la realtà è che questi picchi sono a volte così stretti che anche i target del CQS si rivelano spesso troppo ampi.
TLCI
I creatori del Television Lighting Consistency Index hanno profilato 10 videocamere, hanno progettato un modello colore che rappresenta le loro caratteristiche relative alla resa cromatica e hanno impiegato quel modello per determinare gli effetti che l’utilizzo di una certa sorgente di luce ha su quelle camere.
Il sistema TLCI utilizza le 18 patch colore della Machbeth Chart dell’X-Rite Color Checker Classic:
Essendo queste patch progettate come riferimento colore per la stampa, molti le considerano inadatte per esaminare l’influenza dell’output spettrale di una sorgente luminosa nell’ambito della ripresa video. Si critica anche il fatto che tra le camere profilate dai creatori del TLCI ce ne siano 9 a prisma e solo una a sensore singolo e che l’intero sistema TLCI prenda in considerazione solo il gamut Rec709, favorendo così un certo tipo di camere rispetto ad altre, penalizzando specialmente quelle cinematografiche, progettate per lavorare in uno spazio colore ben più ampio. In ogni caso il TLCI è considerato più affidabile sia del CRI che del CQS per determinare la fedeltà cromatica di LED, HMI e Fluorescenza.
Dal TLCI viene derivato il valore TLMF, ossia il Television Luminaire Matching Factor, che indica l’omogeneità di resa tra due sorgenti luminose. Anche il TLMF utilizza su una scala da 0 a 100, nella quale il valore più alto identifica una corrispondenza perfetta.
Nell’immagine qua sopra i risultati TLCI e TLMF prodotti da un termocolorimetro. La luce analizzata è quella solare del mezzogiorno di una giornata tersa ed ha ovviamente ottenuto un TLCI pari a 100. La luce di confronto, denominata Steampunk, è un Led daylight da 100w. L’analisi della corrispondenza cromatica tra le due sorgenti luminose, rappresentata nel grafico, ha ottenuto un TLMF di 23. Nonostante il Led abbia esso stesso un TLCI pari a 100 e una temperatura colore molto vicina a quella della luce analizzata, il valore TLMF indica chiaramente che le due sorgenti luminose offrono risultati cromatici molto diversi. Come emerge dal grafico, la luce artificiale, il cui spettro è rappresentato dalla linea gialla, è molto più ricco sui toni freddi che su quelli caldi, mentre la luce solare, rappresentata nel grafico come istogramma multicolore, si comporta in maniera opposta e offre uno spettro non solo generalmente più ricco ma anche più ampio. La deviazione Duv, inoltre, indica che il led tende leggermente al verde e la luce solare, seppure in misura ancor minore, al magenta.
TM-30
È il più moderno sistema di misurazione della resa cromatica in relazione a una fonte luminosa.
Dal momento che il protocollo di test del CRI si basa su sole 15 patch colore, per ricevere un’alta valutazione CRI è sufficiente che un illuminatore sia capace di una buona resa in relazione a quei pochi colori campione. Questa è una debolezza del sistema CRI che viene spesso sfruttata dai produttori di LED. L’utilizzo di 99 patch rende il protocollo del TM-30 ben più ostico da aggirare.
Il TM-30 fornisce due valutazioni numeriche: il valore Rf, che riguarda la fedeltà cromatica in termini di tinta, e il valore Rg, che afferisce al Gamut e indica la fedeltà dei livelli di saturazione. La scala Rf va da 0 a 100, col valore più alto accordato alla perfetta riproduzione tonale, mentre la Rg va da 0 a 200 ma stabilisce comunque a 100 il risultato corretto e fa corrispondere ai valori superiori o inferiori i livelli di saturazione eccessivi o insufficienti. Quando la valutazione TM-30 viene espressa con un valore unico, questo corrisponde a una media tra Rf e Rg.
Il sistema TM-30 ha subito vari aggiornamenti ed esiste quindi in varie versioni, identificate da un numero che viene sempre indicato dopo il 30 della sigla base. I sistemi TM-30 più diffusi sono il TM-30-15 e il successivo TM-30-18.
Questa qua sopra è la rappresentazione grafica standard dei risultati dell’esame TM-30-18. La linea rossa rappresenta il comportamento della luce analizzata. I quattro cerchi bianchi, dal più piccolo al più grande, indicano i livelli di saturazione 80, 90, 110 e 120. Il cerchio nero, in questo caso in buona parte coperto dalla linea rossa, indica il livello di saturazione corretto, che come detto corrispone al valore 100. I 16 spicchi indicano altrettanti colori e la freccia all’interno di ogni spicchio indica la fedeltà cromatica della luce analizzata in relazione a ognuno di quei colori. Quando una luce è perfettamente bilanciata non compare alcuna freccia, altrimenti ogni freccia indica verso quale colore tende il suo colore di riferimento.
SSI
Lo Spectral Similarity Index è nato per escludere dal protocollo di test sensori e osservatori, così da ottenere valutazioni quanto più possibile oggettive e assolute. La particolarità dell’SSI è quella di non valutare la qualità di una luce ma la sua omogeneità spettrale in relazione a una diversa sorgente luminosa. In questo senso gli intenti dell’SSI sono molto simili a quelli della valutazione TLMF del sistema TLCI.
Nel sistema SSI lo spettro luminoso dell’emettitore in esame viene analizzato in relazione a quello di una luce di riferimento allo scopo di verificarne la somiglianza. Il risultato del test viene espresso in centesimi, col 100 che indica una perfetta adesione tra lo spettro in esame e quello di riferimento, il 90 che stabilisce il limite dell’ottimo e il 70 che rappresenta la sufficienza. In questo caso con “sufficiente” s’intende un emettitore in grado di produrre colori abbastanza simili a quelli prodotti dall’emettitore di riferimento, a prescindere dal sensore e dalla pellicola in uso.
Un emettitore con un indice SSI più basso di 70 ha ottime probabilità di produrre colori visibilmente alterati rispetto a quelli ottenuti con l’emettitore di riferimento; se e sino a che punto queste alterazioni possano effettivamente manifestarsi dipende anche dal sensore o dalla pellicola in uso.
Il valore SSI di una luce è sempre indicato con accanto, tra parentesi quadre, il riferimento all’illuminante utilizzato per il confronto. Ad esempio un valore SSI 70 [3200K] segnala che la luce analizzata ha un indice di fedeltà pari a 70 in relazione all’emissione spettrale di un corpo nero a 3200°K (semplificando, di una lampada a incandescenza) mentre un valore SSI 70 [D65] è riferito alla luce diurna a 6500°K.
Nell’immagine qua sopra vediamo i risultati completi dell’esame SSI, che in questo caso mette a confronto un LED daylight con una luce teorica perfetta da 5600°K. Con “perfetta” s’intende a spettro completo e priva di dominanti, perfettamente aderente alla curva di Planck. L’indice SSI è di 81, pertanto le due luci dovrebbero risultare piuttosto simili sia all’analisi dell’occhio umano che allo sguardo della videocamera. L’istogramma mostra in grafica le discrepanze spettrali tra le due sorgenti luminose, con l’istogramma colorato che descrive il comportamento della luce sotto test e i rettangoli vuoti che rappresentano l’illuminatore standard di riferimento.
Risorse online
Un elenco di illuminatori LED di alta qualità e dei relativi indici di resa cromatica CRI, CQS, TLCI e TM-30 è consultabile sul sito della Indie Cinema Academy.
Una nota sui termocolorimetri
Solo i modelli più moderni sono in grado di analizzare con sufficiente precisione la luce prodotta dagli emettitori LED e Fluorescenza, il cui spettro può presentare picchi molto stretti. In molti casi anche l’HID può mettere in difficoltà i termocolorimetri di un tempo, che sono stati progettati per funzionare in luce solare o tungsteno.
Una nota sugli esposimetri
Anche questi hanno una risposta alla luce strettamente legata ai colori. La loro risposta in frequenza in relazione allo spettro luminoso non è del tutto uniforme: più ci si avvicina alle lunghezze estreme dello spettro, più si riduce l’affidabilità delle letture. Nella pratica, però, il massimo errore che un esposimetro ben tarato può commettere è così ridotto da risultare trascurabile.
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La propagazione della luce