Le funzioni della luce
In cinematografia la luce assolve 3 funzioni:
1. Permettere al sensore di registrare un’immagine leggibile e pulita
Portata l’illuminazione di una scena al giusto livello d’intensità, il sensore può lavorare alla sensibilità ottimale, producendo immagini dotate della leggibilità richiesta e non danneggiate da rumore digitale.
2. Guidare l’osservatore
In accordo con le inquadrature e i movimenti camera, la luce indirizza l’attenzione dello spettatore su certe parti dell’immagine piuttosto che su altre.
3. Conferire tridimensionalità all’immagine
Le transizioni luce-ombra, l’utilizzo di diversi livelli d’illuminazione a sottolineare i diversi piani dell’immagine e le luci radenti a evidenziare le trame delle superfici sono tutte soluzioni che creano un’illusione di profondità all’interno di un media bidimensionale.
Le definizioni di base della luce e delle sorgenti luminose
Luce Naturale
Qualsiasi luce di originale naturale, creata o meno dall’uomo. Quindi il sole, la luna o il fuoco.
Luce Artificiale
Qualsiasi luce di origine non naturale. In pratica, la luce elettrica.
Luce Ambiente
La luce presente in location, naturale o artificiale, non creata dal reparto fotografia.
Luce Pratica / Diegetica
Qualsiasi sorgente di luce visibile in inquadratura e quindi parte del racconto. Spesso vengono inseriti in scenografia degli emettitori luminosi, come delle semplici abat-jour, per motivare, per giustificare la luce proveniente dai proiettori fuori scena.
Le tipologie della luce
La luce che colpisce un soggetto può essere dura o morbida, direzionale o diffusa, diretta o riflessa.
Le combinazioni possibili per descrivere nel suo complesso una tipologia di luce sono quindi:
- Dura e direzionale
- Morbida e direzionale
- Morbida e diffusa
In ognuno di questi casi le luci possono essere dirette oppure riflesse.
Luce dura: produce ombre dure, ossia dai contorni netti.
Luce morbida: produce ombre morbide, ossia dai contorni sfumati.
La morbidezza di una luce è determinata dalla sua dimensione relativa, ossia da quanto grande risulta in rapporto al soggetto illuminato, dal punto di vista del soggetto stesso. La morbidezza di una luce è quindi determinata dalla sua grandezza e dalla sua distanza dal soggetto. Tanto più una luce è grande e vicina al soggetto, tanto più risulta morbida. È per questo che il sole, coi suoi 150 milioni di chilometri dalla terra, pur essendo una sorgente di luce enorme produce ombre dure.
Per rendere più morbida una luce la si può diffondere o riflettere su una superficie più grande, facendo diventare il supporto di diffusione o di riflessione la nuova e più grande sorgente luminosa.
L’unico modo per trasformare in dura una luce morbida è ridurne le dimensioni oscurandola in parte o riflettendola su una piccola superficie, come ad esempio uno specchio a mano.
Luce direzionale: la provenienza del fascio luminoso è immediatamente deducibile dalle ombre prodotte.
Luce diffusa: la provenienza della luce è meno identificabile, le ombre sono minimizzate o eliminate.
Luce diretta: la luce colpisce direttamente il soggetto.
Luce riflessa: La luce colpisce una superficie che la riflette sul soggetto. La superficie riflettente diventa la nuova sorgente di luce e sono le dimensioni della sua parte illuminata a determinare la sua morbidezza.
Le principali tipologie d’illuminazione
Il termine illuminazione è raramente utilizzato, di solito si preferisce impiegare la parola luce.
Luce Naturale
I livelli di contrasto risultano naturali e lo spettatore può facilmente ricondurre a una sorgente diegetica, naturale o artificiale, le luci che vede in scena.
Luce Drammatica
L’immagine ha un contrasto elevato, ci sono tagli di luce e ombre scure. La motivazione delle luci è spesso subordinata all’atmosfera.
Luce High Key
L’ambiente è decisamente più chiaro dei soggetti.
Luce Medium Key / Normal Key
L’ambiente ha più o meno la stessa luminosità dei soggetti.
Nella pratica l’espressione Medium Key o Normal Key è raramente utilizzata.
Luce Low Key
L’ambiente è decisamente più scuro dei soggetti.
Sia per un effetto High Key che Low Key è determinante l’apporto di scenografia, costumi e trucco.
Nel campo della fotografia statica i termini High Key e Low Key vengono utilizzati in maniera diversa, sono direttamente collegati ai livelli complessivi di luminosità e contrasto dell’immagine piuttosto che al rapporto tra sfondo e soggetti in scena. Un’immagine molto chiara viene definita high-key, mentre un’immagine molto scura viene definita low-key.
Silhouette
I soggetti sono sagome scure su uno sfondo luminoso o illuminato.
I punti luce
Key light / Luce chiave
È la luce principale, quella incaricata di rendere visibili i soggetti in scena.
Fill light / Luce di riempimento / Luce di schiarita
È la luce utilizzata per schiarire le ombre create dalla key light. Può essere generata dalla key light stessa, magaru riflessa da un pannello, da un oggetto scenografico o anche semplicemente dall’ambiente.
Se realizzato riflettendo luci adibite ad altri compiti, il fill viene definito passivo; se prodotto da una sorgente di luce dedicata, lo si dice attivo.
Backlight / Controluce
Illumina il soggetto da dietro per evidenziarne i contorni ed accentuarne la separazione dallo sfondo.
Talvolta la backlight, soprattutto se è ampia o particolarmente decentrata rispetto al soggetto, viene chiamata kicker, rim light o più raramente edge light. Quando ci sono 2 o più luci in backlight puntate su un unico soggetto non è raro che solo la centrale venga definita backlight e che le altre assumano il titolo di kicker, rim o edge light destra/sinistra.
Una backlight concentrata solo sui capelli di un attore viene anche chiamata hair light.
Background light / Luce di sfondo / Luce fondale
Ha il compito primario di rendere leggibile lo sfondo, nel caso le altre luci non assolvano già questo compito. Può risultare utile per dare maggior profondità all’immagine, per rendere più interessante l’ambiente – magari assumendo l’aspetto di un taglio di luce o introducendo in scena una diversa temperatura colore a creare del contrasto cromatico – o per staccare un soggetto scuro dallo sfondo, aumentando la luminosità di quest’ultimo; la background light può quindi espletare la stessa funzione separativa della backlight, rispetto alla quale ha il vantaggio di risultare più semplice da integrare in maniera organica nell’illuminazione di scena e di apparire quindi giustificata e naturale.
Catch light / Eye light
Con queste espressioni si indica sia il punto luce negli occhi degli attori che una luce piazzata appositamente per produrlo. Molto spesso a creare la catch light sono la key light o la fill light.
La forma della catch light è importante perché rivela il tipo di luce che sta colpendo il soggetto. È per questo motivo che esistono due tipi di softbox: quello rettangolare, il cui riflesso è assimilabile a quello di una finestra, e quello a otto o più lati, più adatto a simulare il riflesso del sole o di una lampadina.
Tecniche, schemi e strumenti
Reverse Key Lighting / Upstage Lighting / Short Lighting / Far Side Lighting / Smart Side Lighting / Back Side Lighting
In questo caso la luce chiave è posta leggermente dietro al soggetto anziché davanti. Da qui il termine reverse. Per rendere più leggibile il volto degli attori quando si lavora in reverse key lighting si utilizza spesso un supporto riflettente in posizione opposta alla key light o una leggera fill light in luce riflessa, in modo da schiarire le ombre senza denunciare la presenza di un’ulteriore sorgente luminosa.
Il termine upstage fa riferimento alle direzioni del palco teatrale secondo la terminologia inglese:
Con short, in opposizione a broad, si indica la parte meno visibile di un soggetto dal punto di vista della camera. Per esempio, osservando il primo piano di un attore che guarda a sinistra camera notiamo che il lato sinistro del suo volto risulta più visibile e dunque ampio (broad) mentre quello destro è più nascosto e dunque stretto (short); in short lighting la luce viene quindi indirizzata sul lato meno visibile dell’attore, mentre in broad lighting accade l’opposto.
Un altro modo di vedere questa tecnica è quello di pensare alla camera. In reverse key lighting la camera viene piazzata sul lato in ombra del soggetto, in key lighting sul lato in luce.
I corrispettivi di short lighting e broad lighting quando si prende come riferimento la distanza dalla camera di due lati opposti di un soggetto sono far side lighting e near side lighting. Nell’esempio precedente, una luce in far side sarebbe piazzata sulla destra del soggetto, a illuminare il lato del suo volto più lontano dalla camera e quindi meno visibile; una luce in short side sarebbe piazzata a sinistra del soggetto, a illuminare il suo lato rivolto verso la camera e quindi più visibile. Altri sinonimi di key lighting e reverse key lighting sono smart side lighting e dumb side lighting e front side lighting e back side lighting.
I sinonimi sono quindi:
- Key lighting, downstage lighting, broad lighting, near side lighting, dumb side lighting e front side lighting
- Reverse key lighting, upstage lighting, short lighting, far side lighting, smart side lighting e back side lighting
Quando ci si riferisce all’illuminazione di una scena, al piazzamento di una luce o al posizionamento di un soggetto, utilizzando queste espressioni è uso comune omettere il termine lighting. Quindi: “posizionare una luce upstage“, “girare in key” etc. etc.
Dal momento che le transizioni luce-ombra esaltano la tridimensionalità dei soggetti, la regola base per evitare immagini piatte è rendere visibili queste transizioni. Di conseguenza è quasi sempre consigliabile piazzare la camera in una posizione angolata rispetto alla luce chiave e mai in parallelo ad essa. Anche per questo motivo la reverse key è molto più diffusa della key, in campo cinematografico.
Top Lighting
La top light è una luce perpendicolare al suolo posta al di sopra del soggetto.
Viene spesso utilizzata per concedere agli attori e alla camera la massima libertà di movimento, in quanto può evitare l’utilizzo di stativi a terra e quindi il pericolo che questi vengano ripresi.
Non di rado per gli schemi luce in top lighting vengono utilizzate luci diegetiche, dette pratiche o funzionali, cosicché la camera possa muoversi a 360°.
I neon sono sicuramente gli illuminatori diegetici più utilizzati per questo tipo di applicazioni perché sono superfici illuminanti piuttosto ampie e possono essere facilmente integrate negli ambienti, anche in largo numero, senza comprometterne la verosimiglianza; questi fattori aiutano a mitigare il principale problema della top light, ossia l’estrema direzionalità. Un volto illuminato dall’alto in senso perpendicolare presenta ombre nette, drammatiche e poco lusinghiere, che spesso nascondono completamente gli occhi in due pozze nere, producendo un effetto chiamato occhi di panda o occhi di teschio. Aumentando la superficie e/o il numero degli emettitori la luce si fa più avvolgente e le ombre si aprono, ma ovviamente è più complesso ottenere un buon contrasto. In questo senso è utile poter disporre di più sorgenti di luce, ognuna delle quali possa essere accesa, spenta o dimmerata individualmente in base all’inquadratura. Per i primi piani si interviene spesso portando in scena altre luci, diffusioni, bandiere e filtri ND.
Nelle illuminazioni in top lighting non è raro che si aggiungano in scena luci diegetiche posizionate molto più in basso della key light, come delle abat-jour, per schiarire quanto necessario le ombre nei campi larghi e giustificare la presenza di schiarite più intense sui primi piani, realizzate con proiettori fuori scena.
I volti orientali, in particolare per gli occhi meno incavati, si prestano molto meglio alla top light rispetto ai volti occidentali.
Bottom Lighting
La bottom light è una luce che illumina i soggetti dal basso. È la luce che di solito ha l’effetto meno naturale, meno lusinghiero per gli attori e più inquietante. È la luce horror per antonomasia. Viene spesso realizzata riflettendo dal basso verso l’alto una o più top light; in questa pratica è quasi sempre un elemento diegetico, come un oggetto di scena, un mobile o anche il pavimento, a essere utilizzato come superficie riflettente.
Rembrandt
Molto spesso quando si piazza una luce di fronte a un attore si tende a posizionarla rispetto ad esso a un angolo di 45° sia in verticale che in orizzontale, così da produrre quella che viene definita luce Rembrandt, ossia una luce che illumina una metà del volto e crea sul lato in ombra un triangolo illuminato al di sotto dell’occhio, creando al contempo una catch light in entrambi gli occhi. Questo tipo di luce, benché piuttosto frontale, riesce a conferire tridimensionalità e ricchezza di sfumature ai volti. Dal momento che una Rembrant da sola tende a risultare piuttosto drammatica, non è raro che venga accompagnata da un qualche tipo di schiarita per aprire le ombre.
Paramount / Butterfly
È divenuta famosa ai tempi del cinema bianconero, quando nei film della Paramount Pictures veniva sistematicamente utilizzata per illuminare i primi piani delle star femminili. È una luce inclinata di circa 60° che illumina il soggetto dall’alto, posizionata in linea col centro del suo volto. Sotto il naso si crea un’ombra che ricorda la sagoma di una farfalla e che non raggiunge il labbro superiore; vengono esaltati gli zigomi e la curva del mento, disegnata dall’ombra proiettata sul collo. Anche in questo caso la morfologia dei volti orientali è d’aiuto in quanto favorisce la creazione di una catch light e una buona esposizione delle orbite oculari. La Beauty light è un’evoluzione della Paramount, dalla quale si distingue per la presenza di un fill dal basso utilizzato per aprire le ombre del viso e creare un’illuminazione quasi uniforme.
Split Light
In split light il soggetto è equamente diviso tra luce e ombra in senso verticale. Nel ritratto la parte in luce non esonda oltre la linea d’ombra che segue l’asse del naso e il naso non proietta ombra sulla parte in luce. Per ottenere questo effetto la luce deve essere posizionata a lato del soggetto e leggermente upstage.
Wrap light & light sandwich
Immaginiamo di riprendere frontalmente un soggetto illuminato solo da una backlight. La luce non è collocata perfettamente alle spalle del soggetto, è spostata leggermente su un lato. In questa situazione si ottiene una wrap light quando si aggiunge un fill passivo o attivo sullo stesso lato della luce posteriore e si ottiene quindi un’illuminazione che avvolge il soggetto; si parla invece di light sandwich quando il fill viene collocato sul lato opposto della backlight rispetto al soggetto e si ottiene quindi un’illuminazione che raggiunge il soggetto da due lati speculari, racchiudendolo in una morsa di luce.
Wedge Light / Book Light
È una luce che raggiunge il soggetto dopo esser stata prima riflessa e poi diffusa. Il nome deriva dal fatto che per crearla si utilizzano un supporto riflettente e uno di diffusione messi a cuneo, con la luce in mezzo.
Cove Light
È solitamente creata utilizzando una o più superfici riflettenti disposte lungo un arco di 180° attorno al soggetto. Su queste superfici vengono puntati uno o più illuminatori in modo da creare una sorgente di luce ampia e avvolgente. Per non appiattire i contrasti si possono direzionare gli illuminatori perlopiù su una delle due metà dell’arco riflettente o si possono impiegare illuminatori di diversa potenza.
Light Gag
È una luce in movimento. In genere il suo scopo è ricreare l’effetto di una sorgente luminosa nota al pubblico, come ad esempio il flickering della televisione, l’avvicinamento dei fari di un’automobile o il rapido alternarsi di ombre, luci e colori della giostra di un Luna Park. Con l’espressione light gag viene generalmente indicato anche lo strumento che genera tale luce; esistono ad esempio numerosi TV light gag, Fireplace gag, Lightning gag e così via.
I Cucoloris
Un cucoloris, detto anche cookie, è un dispositivo che si frappone tra la luce e il soggetto al fine di proiettare ombre astratte o che richiamino la presenza di elementi riconoscibili. Sono in pratica dei gobos di grandi dimensioni. In genere i cookie hanno forma rettangolare o quadrata e hanno lati che vanno dal mezzo metro a oltre un metro.
Un cucoloris può essere facilmente ricavato da materiali di uso comune, come un pezzo di cartone. Può anche essere sostituito da elementi reperibili direttamente in location, come delle frasche o delle strisce di nastro gaffa stese tra due stativi. In questi casi fai da te la definizione di cucoloris viene sostituita dal termine breaker, derivato dall’espressione breaking the light, che indica appunto la tecnica di interrompere in vari punti il fascio luminoso allo scopo di creare delle ombre. Questa tecnica è particolarmente utile per togliere piattezza agli sfondi uniformi e per conferire naturalezza ai fasci di luce artificiale.
Alcuni esempi…
Precedente
Lo scavalcamento di campo
Successivo
Illuminazione a punti e a livelli