La nitidezza
Quando analizziamo un’immagine la nostra percezione della nitidezza dipende sia da fattori oggettivi e misurabili che da fattori soggettivi e non misurabili. I fattori misurabili sono la dimensione dei dettagli più fini, detta risoluzione o risolvenza, la nettezza dei bordi di questi dettagli, detta acutanza, e la variazione di densità nelle zone di acutanza simile, detta contrasto.
La capacità di un obiettivo di riprodurre piccoli dettagli è importante per la nitidezza percepita, ma ancor più importanti sono il contrasto col quale questi dettagli vengono riprodotti e la nettezza dei loro contorni. Un’immagine dotata di dettagli finissimi ma scarsamente visibili perché poco più scuri o poco più chiari delle aree limitrofe risulterà per l’osservatore meno nitida di un’immagine dotata di dettagli meno piccoli ma più contrastati.
Se si considera che in campo video si lavora con immagini in movimento e con file di risoluzione generalmente contenuta, appare chiaro quanto nel cinema, per la nitidezza, il contrasto sia più importante della risolvenza.
Le aberrazioni ottiche
Gran parte delle aberrazioni ottiche deriva dal fatto che le lenti sono calotte sferiche; i raggi luminosi che le attraversano in punti diversi vengono deviati a un angolo diverso e vanno a fuoco a distanze differenti. Un’altra difficoltà nel progettare un obiettivo sorge dalla natura stessa della luce, che essendo composta da più lunghezze d’onda si scompone ogni volta che attraversa un vetro; le sue componenti, ossia i diversi colori, variamente deviati vanno a fuoco a distanze diverse. A complicare ulteriormente le cose è il fatto che alcune aberrazioni ottiche sono antagoniste e che quindi per ridurne una è necessario aumentarne un’altra. Da tutto ciò risulta evidente quanto sia complesso realizzare un’ottica in grado di svolgere anche solo la sua funzione più basilare, ossia mettere a fuoco un’immagine su un piano.
Non avendo limiti di budget né preoccupazioni di peso o dimensioni, nel caso di focali e luminosità non estreme oggi è possibile realizzare obiettivi pressoché perfetti. Complessi disegni ottici e lenti speciali sono in grado di ridurre tutte le aberrazioni al di sotto del limite della percepibilità oculare. Tuttavia, prezzo di vendita e ingombro sono fattori determinanti per il successo commerciale di un obiettivo, di conseguenza ogni progetto ottico è frutto di un’intricata serie di compromessi.
Aberrazione sferica
I raggi luminosi che attraversano una lente fuori dal suo asse finiscono su un piano di fuoco più vicino alla lente stessa, rispetto ai raggi di luce che attraversano la lente nel suo centro. Quest’aberrazione, in sostanza, fa sì che una parte dei raggi di luce che compongono il soggetto vengano messi a fuoco, mentre altri restano leggermente sfocati. La conseguenza è che per quanto la risoluzione possa rivelarsi buona il contrasto risulta contenuto perché i punti immagine, sebbene definiti, recano una sorta di alone causato dai fasci di luce non focalizzati. Quando un obiettivo soffre in maniera pesante di aberrazione sferica l’intera immagine appare velata. Le lenti asferiche sono le più adatte a correggere questo tipo di aberrazione.
Lo sferocromatismo, molto semplicisticamente, può essere definito come un connubio tra l’aberrazione sferica e l’aberrazione cromatica. Non solo un diverso punto della lente stabilisce un diverso piano di fuoco, ma questo cambia tra le varie lunghezze d’onda che compongono lo spettro luminoso. Di conseguenza, in presenza di sferocromatismo, l’alone attorno ai punti immagine assume una colorazione. Una delle forme in cui lo sferocromatismo si mostra in maniera più evidente è nella bordatura colorata degli highlight disc.
L’aberrazione sferica residua, detta anche focus shift, causa un progressivo spostamento del punto di fuoco, in avanti o indietro, quando si chiude il diaframma. Si tratta di un difetto ottico raramente rilevante in videografia dal momento che per scongiurarne gli effetti è sufficiente battere il fuoco dopo aver impostato il diaframma di lavoro.
Astigmatismo
L’astigmatismo dei fasci obliqui si manifesta in misura crescente verso i bordi del campo. In asse, un obiettivo perfettamente centrato non soffre in alcun modo quest’aberrazione. Fanno eccezione i sistemi ottici asimmetrici rispetto all’asse ottico, ma in campo fotografico non se ne trovano.
Un obiettivo che soffra di astigmatismo non mette a fuoco alla stessa distanza i raggi luminosi che intersecano l’asse ottico ad angoli diversi, ad esempio perpendicolari tra loro. Di conseguenza, se un sistema ottico con questo tipo di astigmatismo viene utilizzato per formare l’immagine di una croce, le linee orizzontali e verticali non vengono focalizzate alla stessa distanza. Lo stesso può accadere tra linee radiali e perpendicolari all’asse ottico. Per fare un esempio pratico di questo caso, consideriamo di riprendere la ruota di un carro posizionata ai margini del frame: utilizzando una lente astigmatica risulta impossibile focheggiare allo stesso tempo sia i raggi verticali e orizzontali che quelli obliqui.
Un punto ripreso da un sistema astigmatico appare deformato o sdoppiato. Nel primo caso il punto assume una forma ellittica e in parte sfocata; nel secondo caso il punto si divide in due punti, il primo a fuoco e il secondo meno definito e traslato rispetto al precedente, una sorta d’immagine fantasma che si sposta al modificarsi della messa a fuoco.
Gli obiettivi corretti per l’astigmatismo vengono definiti anastigmatici.
Aberrazioni cromatiche
Comunemente indicate con gli acronimi AC o CA, derivano dall’incapacità di un sistema ottico di mettere a fuoco tutti i colori sullo stesso piano. Le aberrazioni cromatiche si manifestano sotto forma di aloni colorati; questi aloni sono l’impronta delle lunghezze d’onda non focalizzate, che si espandono oltre i confini di quelle focalizzate, ossia oltre i confini dei soggetti a fuoco. In sostanza è la trasposizione cromatica dell’aberrazione sferica.
Tendenzialmente le aberrazioni cromatiche aumentano all’aumentare della focale e della luminosità dei sistemi ottici. I teleobiettivi luminosi sono quindi i più difficili da correggere.
L’utilizzo di vetri a bassa dispersione è cruciale per contenere le aberrazioni cromatiche. Quando queste sono contenute al di sotto della soglia di percettibilità oculare si parla di obiettivi apocromatici. Purtroppo il termine Apo viene continuamente abusato nella nomenclatura delle lenti fotografiche e non garantisce in alcun modo il comportamento apocromatico dell’obiettivo cui viene associato.
Aberrazione cromatica laterale (detta anche trasversale)
Aloni colorati, in genere tra il magenta e il blu, nelle zone ad altro contrasto. Spesso questi aloni, detti color fringing o semplicemente fringing, sono molto più marcati ai bordi del frame che in asse.
L’aberrazione cromatica laterale è chiamata anche Chromatic Aberration of the Magnification perché il fringing è legato alle diverse scale di riproduzione dei vari colori.
Aberrazione cromatica longitudinale (detta anche assiale)
Aloni colorati, in genere magenta davanti al piano di fuoco e verde dietro di esso, contornano i soggetti fuori fuoco. Questi aloni vengono definiti bokeh fringing.
Coma
L’aberrazione comatica si manifesta quando l’oggetto ripreso è decentrato rispetto all’asse dell’obiettivo. I raggi di luce che passano per la periferia della lente sono focalizzati sull’asse in un punto diverso rispetto a quelli che passano per il centro della lente.
In generale, un fascio di luce che attraversi una la lente fuori asse è focalizzato sul piano focale in una forma ad anello; la sovrapposizione dei diversi anelli creati dai diversi raggi luminosi origina una forma a V, simile alla coda di una cometa, da cui il nome dell’aberrazione.
Un tipico effetto dell’aberrazione comatica sono le luci puntiformi riprodotte ad ala di gabbiano ai margini del frame, spesso visibili nei panorami notturni e nelle riprese del cielo stellato.
Il flare di coma si presenta come un’aurea, un alone luminoso attorno alle zone colpite da luce intensa. Quest’effetto viene spesso definito glow, halation o blooming. Può accadere che il flare di coma condizioni l’intero fotogramma, generando una sorta di velo nebuloso che riduce il contrasto su tutta l’immagine.
Quando i fotositi del sensore digitale vengono raggiunti da una luce così intensa che la loro carica esonda sui fotositi limitrofi, sull’immagine prodotta si può notare un alone luminoso attorno alle zone sovraesposte. Quest’effetto è molto simile al flare comatico ma in nessun modo legato ad esso: è il cosiddetto sensor blooming.
Curvatura di campo
Poiché una lente è una calotta sferica, i raggi luminosi che la attraversano vengono focalizzati su una superficie curva, detta superficie di Petzval, anziché su una superficie piana. Da ciò nasce la curvatura di campo. Quest’aberrazione ottica fa sì che un obiettivo non riesca a mettere a fuoco sullo stesso piano soggetti che si trovano in zone diverse del fotogramma, sebbene posizionati alla stessa distanza dalla camera.
La somma di Petzval indica il raggio di curvatura del piano focale, che può essere concavo, convesso o misto, a seconda che la somma di Petzval sia positiva o negativa. Volendo annullare la curvatura di campo, chi progetta un sistema ottico dovrebbe lavorare affinché la somma di Petzval sia zero su tutto il campo. Quando ciò avviene, però, insorgono altre aberrazioni, prima di tutte l’astigmatismo. Compito dei progettisti ottici è quindi individuare il miglior compromesso per ogni obiettivo.
Diffrazione
Quando il diaframma è molto chiuso gran parte delle onde luminose impattano sulle lamelle e variano la propria traiettoria interferendo le une con le altre; di conseguenza il potere risolvente dell’obiettivo si riduce. Questo effetto si nota prima a centro immagine, dopodiché, chiudendo ulteriormente il diaframma, anche i margini del campo iniziano a degradare. I fotositi del sensore, in base alle loro dimensioni, partecipano a determinare l’apertura limite dell’obiettivo prima che gli effetti della diffrazione risultino evidenti. Più i fotositi sono piccoli, più facilmente entrano in diffrazione. La chiusura massima del diaframma tollerata da un sensore prima che i fotositi entrino in diffrazione viene definita DLA, acronimo di Diffraction Limited Aperture. Su sensori Super35, in genere, gli effetti della diffrazione si iniziano a notare oltrepassato f/5.6, diventano rilevanti oltre f/8 e si fanno eccessivi oltre f/16. Queste sono indicazioni estremamente generiche, sia perché ogni obiettivo è diverso sia perché Super35 è la definizione più vaga tra quelle di tutti i formati. I sensori delle macchine fotografiche, dovendo sviluppare immagini con un elevato numero di pixel, quasi sempre recano fotositi più piccoli delle videocamere di pari formato, che quindi, in genere, hanno un DLA più accomodante.
Distorsione
Quest’aberrazione ottica provoca la curvatura delle linee presenti nell’immagine. Quando le linee tendono a curvarsi verso il centro del fotogramma la distorsione viene definita a cuscinetto, quando le linee tendono a curvarsi verso l’esterno del fotogramma la distorsione viene definita a barilotto, quando l’andamento delle linee è misto, per esempio a barilotto nella parte centrale del fotogramma e a cuscinetto nelle zone periferiche, la distorsione viene definita complessa o a baffo.
Tendenzialmente la distorsione aumenta dal centro verso i margini del fotogramma ed è un’altra conseguenza della superficie curva delle lenti. Gli elementi asferici possono aiutare in maniera significativa il contenimento di quest’aberrazione.
La deformazione volumetrica prodotta dai grandangoli è un fenomeno ben distinto dalla distorsione; è legata alla riproduzione bidimensionale di soggetti tridimensionali e non rappresenta un’aberrazione ottica. Semplicemente, privati della profondità, i soggetti tridimensionali vengono per forza di cose riprodotti con proporzioni alterate. Più corta è la lunghezza focale di una lente, più lontano dal centro ottico si estende la sua proiezione e superiore è la deformazione volumetrica introdotta; più lontano dall’asse ottico della lente si trova il soggetto, più subisce gli effetti di questa deformazione. Il tipico esempio di deformazione volumetrica è l’alterazione dei volti in prossimità degli angoli del fotogramma nelle foto di gruppo. Un altro esempio è l’allungamento della fronte del soggetto quando lo si posiziona con la testa in prossimità del bordo del frame in un ritratto verticale realizzato con un grandangolo. Un’elevata distorsione nasconde la deformazione volumetrica, i due fenomeni sono inversamente proporzionali. Gli ultragrandangolari più corretti contro la distorsione sono proprio quelli che evidenziano maggiormente la deformazione volumetrica.
Vignettatura
Vignettatura ottica: qualunque sistema ottico attraversato dalla luce genera un’illuminazione sul piano focale che decresce dal centro verso i bordi. La presenza di quest’aberrazione, in sostanza, fa sì che le zone periferiche dell’immagine risultino più scure dell’area centrale. Utilizzando obiettivi FF su sensori Super35 la vignettatura è quasi sempre trascurabile perché della proiezione ottica delle lenti viene sfruttata solo l’area centrale.
Vignettatura meccanica: è causata da ostacoli fisici che si frappongono tra i fasci luminosi e il sensore. Un effetto secondario di questo genere di vignettatura è la deformazione degli highlight disc, che possono assumere una forma ellittica in prossimità dei margini del frame o persino apparire tagliati. I più frequenti responsabili di questo tipo di deformazioni, che possono occorrere anche se nel quadro non è visibile alcuna vignettatura, sono i limiti imposti dalle dimensioni del barilotto o dalle bandiere del matte box.
Riflessi interni
Ogni volta che una luce colpisce una lente, in parte la attraversa e in parte ne viene riflessa generando fasci luminosi vaganti. In un sistema ottico, più sono le spaziature aria-vetro e più è facile che si creino riflessi interni, che nelle immagini acquisite si traducono in flare, riflessi parassiti e fenomeni di ghosting. Anche un’insufficiente opacizzazione delle superfici interne del barilotto dell’obiettivo, lamelle del diaframma incluse, partecipa in maniera significativa alla creazione di riflessi indesiderati. Essendo il sensore digitale una superficie specchiante, in rari casi oggi esiste anche un terzo tipo di effetto generato dalle inter-riflessioni: il red dot flare.
Flare: è una sorta di velatura su tutta l’immagine o su parte di essa. Provoca una riduzione del contrasto e introduce dominanti cromatiche condizionate dal tipo di vetri e di antiriflesso in uso.
Riflessi parassiti e ghosting: quando un oggetto molto luminoso è incluso nell’inquadratura, nell’immagine si creano macchie luminose e semitrasparenti dalle forme più disparate, spesso anche molto complesse e multicolore. Quando queste macchie riproducono le forme del soggetto luminoso in maniera riconoscibile vengono definite immagini fantasma e il fenomeno prende il nome di ghosting. Quando la sorgente luminosa viene correttamente esposta può persino accadere che uno o più riflessi la riproducano in maniera dettagliata. I trattamenti antiriflesso ghostless sono nati proprio per evitare la creazione di immagini fantasma.
Red dot flare: la luce che colpisce il sensore viene in parte riflessa sulla lente posteriore dell’obiettivo, che la rimbalza indietro creando sull’immagine delle macchie rosse semitrasparenti disposte a griglia. Questo tipo di riflesso interno è visibile solo ai diaframmi più chiusi e maggiormente nei sistemi a tiraggio ridotto come le moderne fotocamere mirrorless; questo perché la luce riflessa dalla lente posteriore dell’obiettivo, in questi sistemi, deve percorrere un tragitto più breve per tornare a colpire il sensore.
Focus breathing
Per modificare la distanza di fuoco, quasi tutti gli schemi ottici devono spostare avanti o indietro uno o più gruppi di lenti alterando la propria lunghezza focale. Quando la differenza tra la focale minima e la focale massima raggiunta da un obiettivo in base alla distanza di fuoco è marcata, nel corso delle transfocature si manifesta un evidente effetto zoom. Questo fenomeno viene definito focus breathing.
Dal momento che per i fotografi la variazione di focale correlata alle distanze di fuoco non è un problema finché non è estrema, quasi tutti gli obiettivi fotografici soffrono di un visibile focus breathing. Dal momento che il problema è così diffuso, nelle recensioni ho evitato di parlarne, eccezion fatta per i casi in cui è risultato particolarmente marcato o contenuto.
Gli schemi ottici flottanti, nei quali alcune lenti si muovono in relazione alle altre per meglio compensare certe aberrazioni alle diverse distanze di fuoco, sono i più soggetti al fenomeno del focus breathing, che è invece piuttosto contenuto negli schemi rigidi.
Wiggle
Il termine wiggle indica uno slittamento dell’inquadratura causato da un gioco tra le elicoidi dell’obiettivo. Questo problema, detto anche frame shift, fa sì che il frame si sposti più o meno bruscamente in una qualche direzione ogni volta che s’inverte la rotazione della ghiera di messa a fuoco. Ne soffre la maggioranza degli obiettivi fotografici, in particolare se accoppiati a un follow focus.
Le ottiche dell’era analogica più inclini a soffrire di frame shift sono senza dubbio i Nikon, a prescindere dalla serie di appartenenza.
Ci sono due escamotage particolarmente efficaci nel sopprimere il wiggle:
1. Montare gli obiettivi in posizione ruotata
Gli anelli adattatori per Nikon F e certi anelli M42 lo permettono, gli altri richiedono di essere modificati. In ogni caso questa soluzione esclude l’utilizzo dell’eventuale sistema di blocco dell’anello adattatore, ma un paio di piccoli pezzi di biadesivo possono farne le veci in maniera egregia. Montando l’ottica in posizione ruotata ci si affida alla forza di gravità per annullare i problemi di frame shift. Nella mia esperienza è il sistema più efficace. Talvolta il wiggle permane a certe distanze di fuoco o a determinate inclinazioni della camera, di conseguenza sono necessari numerosi test per capire se il problema sia stato effettivamente risolto.
2. Utilizzare un paraluce
Il peso frontale può limitare il movimento delle elicoidi e sopprimere completamente il wiggle. Talvolta è necessario provare diversi paraluce prima d’individuare quello adatto allo scopo. Un paraluce molto leggero potrebbe risultare inefficiente mentre uno molto peso potrebbe risultare eccessivo e accentuare il problema. A volte il paraluce riesce ad annullare il frame shift solo a patto che sussistano certe condizioni di ripresa, esattamente come quando si utilizza la tecnica dell’obiettivo ruotato. I paraluce che trovo più comodi sono quelli in gomma a tre stadi, spesso identificati come 3-Stage. Sono economici e offrono diverse soluzioni in termini di rapporto tra lunghezza e peso, specialmente se associati a step-up o step-down rings. L’impiego di un paraluce, tra l’altro, può tornare molto utile sui camera rig in quanto permette di distanziare l’obiettivo dal matte box e crea spazio sia per la focheggiatura a mano libera che tramite follow focus.
Capitolo successivo:
Il bokeh