Il quarto consiglio sarebbe scegliere sempre lo strumento più semplice possibile in relazione all’effetto desiderato, ma è già un’osservazione un passo più avanti, qui trattiamo proprio i fondamentali per chi si avvicina al lavoro di color grading:
- Non distruggersi la schiena davanti al monitor con una postura sbagliata
- Non ossessionarsi con la ricerca della massima fedeltà di riproduzione
- Evitare le sessioni lunghe
Il primo punto non richiede grandi approfondimenti. Per farsi un danno alla schiena serve molto meno di quanto si pensi, mentre per rimediare, ammesso sia possibile, è sempre necessario un processo lungo, impegnativo e tedioso. Decisamente meglio prevenire.
In relazione al secondo punto riporto un estratto dell’articolo Un pc per DaVinci Resolve:
È bene tener presente che il grande pubblico utilizzerà schermi di ogni genere e che lo farà negli ambienti più disparati. A conti fatti la fedeltà assoluta in termini di riproduzione dei colori non è così importante. Ogni film, una volta entrato in distribuzione, è destinato ad assumere una miriade di aspetti diversi. Accettare questo fatto con serenità è indispensabile per la salute mentale del colorist.
Il mio invito è in sostanza quello a utilizzare un buon monitor 10 bit, a lavorare in un ambiente a luminosità costante, ad affidarsi per un’analisiti tecnica delle immagini agli scope del software di color grading utilizzato e a non ossessionarsi.
Per indicazioni su come allestire una color suite: Monitor, postazione e impostazioni
Ai corsisti dei miei workshop come agli allievi delle scuole di cinema vedo sistematicamente compiere un errore che porta a sprecare intere giornate di lavoro, ossia quello di restare troppo tempo su una stessa immagine. Quello che accade in questi casi è che l’immagine in oggetto viene inevitabilmente sovra lavorata.
Arriviamo così al terzo punto, in relazione al quale esiste un interessante esperimento ottico che dimostra come la nostra percezione dei colori possa facilmente essere alterata. È l’esperimento dell’immagine residua, anche detta immagine persistente o fantasma, ossia un’immagine che persiste dopo che la fonte è stata rimossa, apparendo come la versione invertita o complementare dell’immagine originale. È in particolare a questo esperimento e al tema delle sessioni brevi che si dedica il video qua sotto.
Supponiamo che il nostro obiettivo sia scaldare un’inquadratura. Ciò che possiamo fare è spingere dell’arancio tramite l’Offset. Dopo poco però il nostro sguardo si abituerà alla nuova intonazione e la modifica non ci sembrerà più sufficiente. Così ci troveremo ad aggiungere arancio ancora e ancora e ancora fino a che l’immagine non risulterà inguardabile a chiunque non sia stato lì a fissarla con noi per mezzora. La soluzione a tutto questo è imporsi una disciplina di lavoro caratterizzata da sessioni brevi, sia per quanto riguarda il tempo dedicato ogni volta al bilanciamento cromatico di una singola clip, sia per quanto riguarda in generale il tempo trascorso senza soste di fronte al monitor.
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