T-Stop vs f-Stop
La luminosità di un obiettivo, detta anche “velocità”, viene indicata in valori f nelle ottiche fotografiche e in valori T in quelle cinematografiche.
In un sistema ottico il numero f è il quoziente della divisione tra la misura della lunghezza focale e quella del diametro della pupilla d’ingresso. Tutti gli obiettivi nei quali il rapporto tra queste due misure è lo stesso vengono identificati dal medesimo numero f. Ogni obiettivo 50mm dotato di una pupilla d’ingresso di 25mm è quindi un 50mm f/2 (f = 50/25) a prescindere dallo schema ottico, dal numero e dal tipo di lenti impiegate, nonché dal trattamento antiriflessi applicato su di esse; ossia a prescindere dall’effettiva capacità dell’obiettivo di trasmettere la luce.
Lo scopo del numero T è indicare l’effettiva luminosità di un obiettivo per aiutare il direttore della fotografia a mantenere la continuità visiva del girato. Per calcolare il numero T si prende in considerazione la trasmittanza, ossia il rapporto percentuale tra l’intensità della luce che raggiunge l’obiettivo e quella che colpisce il sensore. In pratica si verifica l’efficienza di un obiettivo nel trasmettere la luce sul sensore. Si può così scoprire che un vecchio 28/2.5 è magari meno luminoso di un moderno 28/2.8 dotato di vetri e di trattamenti antiriflesso più avanzati. L’obiettivo più datato potrebbe ad esempio rivelarsi un T3.1 e il nuovo potrebbe risultare un T3.0.
Per comodità la scala T utilizza gli stessi indici della scala f, cosicché sia immediato eseguire i calcoli relativi all’esposizione. Un obiettivo T2.0 è quindi 1 Stop più luminoso di un obiettivo T2.8 e 1 Stop meno luminoso di un obiettivo T1.4.
In sostanza il valore T è il valore f al lordo della trasmittanza.
Potersi affidare ai valori T piuttosto che agli f è molto utile in campo cinematografico. Nelle riprese di un film è normale che quantomeno per ogni scena vengano stabiliti una sensibilità ISO, una velocità di otturazione e un diaframma di lavoro vincolanti affinché il rumore digitale, il motion blur e la relazione tra angolo e profondità di campo si mantengano costanti. Se stessimo lavorando alla massima apertura e passando da un obiettivo f/2.8 a un altro della stessa luminosità nominale ci trovassimo sottoesposti, saremmo costretti ad alterare gli ISO o il tempo di otturazione con conseguenze negative sulla continuità visiva; oppure ci troveremmo a dover correggere la luminosità, il contrasto e i colori di certe inquadrature in fase di post produzione e questo potrebbe comportare un decadimento della qualità d’immagine. E’ chiaro che in digitale certi interventi risultano molto più semplici che in pellicola, ma comunque richiedono tempo e non sempre conducono a risultati del tutto soddisfacenti. Passando da un obiettivo T2.8 a un altro T2.8 si è ragionevolmente sicuri di non dover correggere l’esposizione per mantenere la continuità visiva.
Il diametro della pupilla d’ingresso di un’ottica può essere ridotto chiudendo il diaframma, è così che si ottengono valori f o T diversi da quelli indicati dalla nomenclatura dell’obiettivo, che si riferiscono sempre al diaframma tutto aperto.
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