Cosa aspettarsi da un obiettivo vintage

La qualità ottico-meccanica

Il termine vintage ha un significato piuttosto vago; di norma, in ambito fotografico, viene utilizzato per indicare le produzioni del ‘900 precedenti all’autofocus. Nel corso di quei decenni sono stati molti i progressi nel campo della produzione degli obiettivi fotografici, non ultimo l’introduzione dei computer. Di conseguenza la qualità delle ottiche del secolo scorso, dal punto di vista della resa, tende a salire con l’anno di produzione, esattamente come avviene oggi. Per quanto invece riguarda la meccanica, in campo vintage si assiste nella maggior parte dei casi a un andamento inverso, legato sia a una questione di contenimento dei costi da parte delle aziende, sia all’impegno di quasi tutti i produttori, a partire dagli anni ‘70, nell’offrire obiettivi sempre più leggeri e compatti. Le elicoidi in ottone sono scomparse, le boccole di metallo sono divenute di plastica e così via. In questo senso la sola vera eccezione è rappresentata dagli obiettivi Leica.

Di media, dal punto di vista tecnico, la qualità ottica delle lenti vintage è decisamente inferiore a quella delle controparti odierne. Lo si nota in particolare nei modelli più spinti come luminosità e focale. Un tempo negli obiettivi più veloci il diaframma spalancato era visto come l’extrema ratio; nessuno si aspettava che un 35/2 producesse immagini brillanti sin dalla piena apertura. Allo stesso modo era accettato che un supertele mostrasse evidenti aberrazioni cromatiche e che un ultragrandangolare offrisse una scarsa risoluzione periferica. È facile immaginare cosa si potesse pretendere da uno zoom.

I diversi strati che compongono un sensore CMOS, il loro coefficiente di riflettenza e il particolare processo di formazione dell’immagine digitale sono tutti elementi dei quali nessun progettista teneva conto in epoca vintage. Anche per questo motivo molti obiettivi dell’era analogica dotati di un’ottima reputazione rischiano di deludere se montati su una camera digitale. Le aberrazioni cromatiche, per fare un esempio, tendono a mostrarsi con maggior frequenza e intensità sul sensore che sulla pellicola.

Va poi considerato che anche i migliori antiriflesso del secolo scorso, soprattutto se precedenti agli anni ’70, sono di scarsa efficacia se comparati ai trattamenti odierni. Il sensore digitale, essendo una superficie specchiante, anche in questo campo crea più problemi della pellicola.

Oggi disponiamo di computer e programmi che permettono calcoli ottici un tempo inimmaginabili; possiamo contare su macchinari più avanzati, nuovi materiali e più moderni procedimenti di lavorazione; le lenti asferiche e a bassissima dispersione, un tempo appannaggio esclusivo degli obiettivi più avveniristici e costosi, sono ormai ampiamente utilizzate persino in ottiche entry-level. Alla luce di queste considerazioni credo risulti evidente come gli obiettivi del secolo scorso e quelli contemporanei appartengano a due mondi profondamente diversi, dai quali sarebbe irragionevole aspettarsi produzioni di pari livello.

Le focali corte

Nel periodo vintage, dato che i formati fotografici inferiori al Full Frame non erano diffusi, già il 20mm rappresentava per i fotografi una focale estrema. L’offerta in campo grandangolare tra le ottiche fotografiche dell’era analogica è di conseguenza molto limitata per chi lavora con sensori S35.

La luminosità effettiva

Il coefficiente di trasmissione luminosa degli obiettivi più datati è di frequente molto basso. Non di rado un f/2.8 anni ‘60 si traduce in un T3.3. Negli anni passati le case produttrici erano anche più disinvolte nelle dichiarazioni riguardanti le specifiche dei propri obiettivi; in questo senso i brand principali risultavano sicuramente più affidabili.

Le lenti radioattive

Numerosi obiettivi fotografici prodotti prima degli anni ’80 includono vetri radioattivi. Buona parte di queste lenti contiene Diossido di Torio, un materiale che col tempo provoca un ingiallimento più o meno evidente del vetro nel quale è miscelato. Gli obiettivi colpiti da questo fenomeno accusano una riduzione della luminosità e producono immagini caratterizzate da una dominante ambrata. Questo difetto viene comunemente definito yellowing e può essere ridotto sottoponendo le lenti a una prolungata esposizione alla luce. In base al tipo di luce utilizzata e alla gravità del problema il procedimento può richiedere da un paio di settimane a oltre un mese, ma è comunque raro che riesca a ripristinare lo stato originario degli elementi ingialliti. Spesso poi la lente al Torio è interna, interposta tra lenti con trattamenti superficiali anti-UV che filtrando la luce la rendono inefficace per il de-yellowing; in questi casi si è costretti ad estrarre dall’obiettivo la lente ingiallita per poterla trattare. A tutto ciò va aggiunto che col tempo l’ingiallimento è destinato a ripresentarsi. Considerati i fastidi connessi sia all’ingiallimento che ai metodi per eliminarlo, ho deciso di escludere da questo compendio tutti gli obiettivi notoriamente inclini al problema dello yellowing.

Gli universali giapponesi

Esistono obiettivi di buona qualità anche tra i vari Vivitar, Soligor e compagnia cantante, ma sono rari e non si trovano a cifre particolarmente economiche. Tra l’altro la resa di queste lenti, a mio avviso, manca sempre di presenza, di quella profondità e pulizia che contraddistinguono gli obiettivi “di nome”; ciò anche per via degli antiriflesso impiegati in queste ottiche, decisamente meno efficaci di quelli utilizzati dai brand principali. Inoltre, a causa dei ridotti controlli qualità e dei materiali di seconda scelta, la precisione meccanica e della centratura ottica delle lenti universali giapponesi dell’era analogica è estremamente variabile tra le diverse copie di uno stesso obiettivo. Per questi motivi, almeno in questa prima edizione, ho deciso di escludere le universali giapponesi dalla lista delle ottiche consigliate.

Gli obiettivi “russi”

Il mercato degli obiettivi sovietici è una roulette. Gli stessi modelli erano prodotti in stabilimenti diversi, sotto differenti marchi e utilizzando materiali e tolleranze estremamente variabili. Di conseguenza le discrepanze tra una copia e l’altra di uno stesso obiettivo possono essere drammatiche. In genere le ottiche made in CCCP erano comunque inferiori come qualità sia alle tedesche che alle nipponiche dei principali brand. Esistono 3-4 modelli interessanti, che tra l’altro ho utilizzato con soddisfazione in alcune produzioni, ma hanno tutti una controparte tecnicamente migliore, prodotta altrove e oggi facilmente reperibile nella stessa fascia di prezzo. Tra l’altro diverse ottiche sovietiche erano semplici rivisitazioni di qualità inferiore di prodotti Zeiss Jena. Alla luce di quanto sopra ho preferito lasciar fuori da questa prima edizione del PL-4V i famosi obiettivi “russi”.

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Dove acquistare e come testare un obiettivo vintage