Attacchi C/Y, QBM e Nikon F
Gli obiettivi Carl Zeiss vantano da sempre un’elevata qualità ottica e meccanica che inevitabilmente si riflette sul prezzo, gonfiato anche dal blasone della casa tedesca.
Grazie all’apporto Zeiss il parco ottiche Contax RTS, per il quale la baionetta C/Y fu sviluppata, annovera alcuni degli obiettivi più amati dell’intero periodo vintage, obiettivi divenuti oggi delle icone della fotografia manuale. Orientarsi tra gli Zeiss di questo sistema è piuttosto semplice perché i modelli non sono molti e nella maggior parte dei casi furono prodotti solo in due versioni: AE e MM. Gli AE sono obiettivi di prima generazione, che su corpi Contax e Yashica permettono come unico automatismo la priorità dei diaframmi, mentre i successivi MM, commercializzati a partire dal 1984, permettono ogni tipo di automatismo. Su macchine di terze parti non ci sono differenze tra utilizzare un obiettivo dell’uno o dell’altro tipo.
Gli Zeiss MM usufruiscono talvolta di un trattamento antiriflesso migliore e recano sempre un diaframma ridisegnato, il cui foro non assume forme dentate come invece accade, in genere tra 1 e 2 stop di chiusura, negli obiettivi AE. Segnalo però che tra gli MM è molto più comune trovare lenti annebbiate. Spesso gli obiettivi che soffrono questo problema possono facilmente essere puliti da un qualsiasi fotoriparatore e tornare alle condizioni originali, in certi casi però le esalazioni arrivano a intaccare il trattamento antiriflesso rendendo impossibile il ripristino. Gli MM sono anche molto più inclini alla separazione dei doppietti. Il problema è risolvibile, ma la riparazione ha un costo che nella maggior parte dei casi supera di gran lunga il valore di mercato delle ottiche. Non mi è capitato un solo obiettivo AE che soffrisse di separazione.
La resa cromatica degli MM è pressoché indistinguibile da quella degli AE, i colori sono riprodotti in maniera fedele, senza picchi di saturazione o evidenti shift cromatici. Solo in alcuni modelli, sia MM che AE, si nota una leggera tendenza ai toni freddi. Per quanto riguarda i riflessi interni, negli MM flare e riflessi parassiti assumono spesso colorazioni violacee, mentre negli AE i flare sono perlopiù biancastri e i riflessi parassiti tendono in molti casi al verde.
Dal punto di vista cosmetico gli MM si distinguono dagli AE per la ghiera dei diaframmi che riporta in verde anziché in bianco l’apertura minima.
Le diciture AE e MM vengono spesso declinate in AEG, AEJ, MMG e MMJ. La lettera aggiuntiva indica il Made in Germany o il Made in Japan, sempre dichiarato sul barilotto degli obiettivi. Per quanto riguarda i prezzi il mercato non mostra preferenze per un luogo di produzione rispetto all’altro. L’utenza si divide equamente tra chi ricerca il lustro della provenienza teutonica e chi predilige gli esemplari più recenti.
Il celeberrimo trattamento multistrato T Star proprietario Zeiss, indicato come T* nella nomenclatura degli obiettivi e da molti considerato il miglior antiriflesso del periodo vintage, è presente in versioni diverse in tutte le ottiche prodotte dalla casa tedesca per il sistema Contax.
La meccanica degli Zeiss è di alto livello. Non è raro trovare obiettivi in pessime condizioni estetiche, palesemente abusati, che ancora lavorano in maniera egregia, senza presentare giochi o problemi di wiggle, offrendo ghiere della MAF che si muovono in maniera precisa e omogenea. Le ghiere dei diaframmi trasmettono un senso di solidità che di rado si riscontra in altri obiettivi; gli scatti sono ben definiti, si presentano a intervalli di uno stop e sono abbastanza spaziati da permettere l’impostazione di valori intermedi.
Dal punto di vista ottico il comportamento degli Zeiss/Contax ha una caratteristica rilevabile in pressoché tutti i modelli: la qualità si mantiene alta più o meno fino ai 15mm fuori asse, per poi scendere e infine precipitare verso gli ultimi due millimetri del full frame. I sensori S35, quindi, sfruttano quasi sempre l’area più favorevole della proiezione ottica.
Gli estimatori delle ottiche Zeiss utilizzano spesso l’espressione “Zeiss Pop” per descrivere una peculiarità nella resa delle migliori ottiche della casa tedesca. In sostanza si parla di un particolare rapporto tra macro e micro contrasto che unito a una caratteristica restituzione delle transizioni fuoco-fuori fuoco fa sì che le immagini trasmettano uno spiccato senso di tridimensionalità grazie a una marcata separazione tra piani di fuoco. La lente più citata in questo senso è forse il Planar 50/1.4.
Gli adattatori C/Y-EF hanno un sistema di blocco che consiste in una semplice linguetta che può facilmente essere forzata. Con ghiere della MAF indurite, durante le transfocature può accadere che l’intero obiettivo ruoti e si sganci inopinatamente dall’anello. Due piccoli pezzi di biadesivo tra adattatore e baionetta stabilizzano la connessione ed escludono il pericolo nella maggior parte dei casi.
In tempi recenti Zeiss ha riproposto all’interno della linea Classic, leggermente modificati, diversi obiettivi della linea Contax. Ogni modello è acquistabile in versione ZE per Canon EF, con diaframma esclusivamente elettronico, e in versione ZF e ZF.2 per Nikon F, con diaframma manuale. Rispetto agli analoghi vintage questi nuovi obiettivi risultano spesso più costosi anche sul mercato dell’usato.
Il sito web Apotelyt rappresenta una buona risorsa per ottenere rapidamente informazioni sugli obiettivi Zeiss del sistema Contax, mentre sul sito ufficiale della Carl Zeiss si trovano immagini e specifiche degli obiettivi che la casa tedesca sta continuando a produrre, come appunto quelli della linea Classic.
Assolutamente imperdibile sul sito ufficiale Carl Zeiss è la sezione Historical Products, dalla quale sono ancora oggi scaricabili in formato PDF i data sheet dell’ultima versione di tutti gli obiettivi delle linee Contax (Contax/Yashica, G, N e 645) Classic, Hasselblad (F, FE, ZV, C, CB, CF, CFi, CFE) ZM, Sinar ZH, Alpa e del Telephoto Power Pack. Queste schede dati, oltre a contenere le abituali informazioni fisiche e ottiche relative ai modelli illustrati, presentano i risultati dei test di laboratorio compiuti dalla Zeiss stessa per verificare le prestazioni ottiche dei propri obiettivi in quanto a distorsione, vignettatura e MTF.
Carl Zeiss Distagon T* 28/2.8 (MM) – C/Y
Con la versione MM lo schema ottico è stato leggermente modificato allo scopo di migliorarne la resa periferica.
La corsa di fuoco è di circa 120°, dei quali solo 20 sono sfruttati per passare da 1m a infinito; non sarebbe certo un obiettivo da PL-4V. Tuttavia esistono ben poche lenti fotografiche vintage di questa focale in grado di fornire sia una buona corsa di fuoco che un’accettabile qualità ottico-meccanica; di conseguenza, considerato che questo Zeiss è dal punto di vista ottico uno dei migliori 28mm dell’era analogica, ho deciso d’inserirlo comunque nella selezione.
Già a f/2.8 la resa è molto buona al centro e più che sufficiente ai bordi. Si nota una certa vignettatura e in condizioni difficili non è raro che fenomeni di aberrazione cromatica laterale emergano ai margini del fotogramma; in questa zona, se sono presenti soggetti ostici come sorgenti luminose puntiformi, si può rilevare anche del coma. Nonostante le imperfezioni si tratta nel complesso di un risultato davvero notevole per un 28/2.8 utilizzato alla massima apertura; le immagini appaiono plastiche e brillanti. A f/4 la correzione ottica migliora da ogni punto di vista, la vignettatura è difficilmente percepibile e la resa periferica si fa buona. A f/5.6, soprattutto sulle lunghe distanze di fuoco, per le quali l’obiettivo è chiaramente ottimizzato, questo Zeiss raggiunge un picco qualitativo comune a ben pochi 28mm.
La distorsione geometrica è trascurabile per la maggior parte degli utilizzi. Anche con soggetti architettonici è raro la si possa notare se non sono presenti linee dritte a bordo frame. La curvatura di campo è invece piuttosto marcata e solo a f/5.6 si fa irrilevante; è sicuramente questo il punto debole dell’ottica.
La minima distanza di fuoco è di 25cm, ma sotto il mezzo metro la resa cala visibilmente. Per godere di prestazioni ottiche al livello di quelle ottenibili su distanze più lunghe è necessario chiudere almeno 1 o 2 stop in più. Data l’assenza di gruppi ottici flottanti non è questo un comportamento inaspettato.
La resistenza ai riflessi è molto buona. Anche in forte controluce la riduzione del contrasto è contenuta e il ghosting limitato.
Dietro il piano di fuoco il bokeh è tendenzialmente nervoso. Alla massima apertura gli highlight discs hanno un bordo netto e le transizioni fuoco-fuori fuoco spesso risultano brusche. La situazione è decisamente migliore davanti al piano di fuoco, dove le trame del bokeh si fanno morbide e gli highlight discs appaiono spesso del tutto privi di bordo. Una resa di questo tipo si nota invece a tutto campo alla minima distanza di fuoco, dove la ridotta correzione ottica generale favorisce un bokeh morbido e progressivo sia davanti che dietro al piano di fuoco.
La qualità costruttiva è ottima e le dimensioni sono più o meno quelle di un 50/1.4. La ghiera del fuoco scorre fluida e precisa e i diaframmi scattano con sicurezza.
A differenza della versione AE la versione MM reca un diaframma che a nessuna apertura produce un foro dal profilo dentato.
Carl Zeiss Distagon T* 35/2.8 (AE, MM) – C/Y
Tra i migliori 35/2.8 del periodo vintage, sia dal punto di vista ottico che meccanico.
La massima apertura è pienamente utilizzabile, contrasto e risoluzione sono buoni su quasi tutto il frame, si nota un calo solo ai bordi estremi, che restano comunque più che sufficienti. Vignettatura e distorsione sono irrilevanti nella maggior parte dei casi. A f/4 l’obiettivo sfoggia un’incisività e una brillantezza davvero notevoli su tutto il fotogramma. A f/5.6 la correzione ottica migliora ulteriormente e le immagini prodotte sono pressoché perfette da ogni punto di vista, la resa è omogenea dal centro sino agli angoli. A f/2.8 l’aberrazione cromatica laterale emerge raramente e in misura contenuta, perlopiù a bordo immagine e alle brevi distanze di fuoco. Da f/4 il fenomeno è sostanzialmente soppresso.
La resistenza ai riflessi interni è buona anche alla massima apertura; come d’uso la chiusura del diaframma aiuta a limitare il flare e la conseguente riduzione del contrasto.
La restituzione del fuori fuoco è piuttosto morbida, con gli highlight disc che occasionalmente presentano un bordo luminoso e un leggero fringing da sferocromatismo, presente più che altro alla piena apertura.
Venendo alle note negative, la minima distanza di fuoco è di ben 40cm; 10 in più del normale e quasi 20 in più dell’omologo Leica R. Da notare anche l’astigmatismo piuttosto pronunciato ai bordi estremi del fotogramma. In linea di massima, lasciate le mire ottiche, questo non rappresenta un problema, tuttavia potrebbe compromettere la nitidezza di soggetti particolari, come una scritta posizionata a margine del frame.
Solo nella versione AE, tra f/4 e f/5.6, il foro del diaframma assume una forma dentata.
Carl Zeiss Planar T* 50/1.4 (AE, MM) – C/Y
Il 50mm vintage per antonomasia. La sua resa segue il medesimo andamento che si riscontra in quasi tutti i 50/1.4 anni ’70, collocandosi però ai vertici della fascia alta.
La massima apertura è piuttosto debole, i colori mancano di pulizia e le aberrazioni cromatiche sono frequenti e ben visibili, così come il flare di coma. Nel complesso le prestazioni sono comunque superiori a gran parte della concorrenza. Anche alla massima apertura, in condizioni di luce favorevoli e a patto di effettuare la dovuta post produzione, si possono ottenere buone immagini. Da f/2 la resa sale su tutto il fotogramma, contrasto e risoluzione aumentano in maniera decisa e le immagini acquistano tridimensionalità. Le aberrazioni cromatiche sono ancora visibili ma decisamente meno invadenti e il glow attorno alle alte luci si fa contenuto. A f/2.8 si assiste a un ulteriore, evidente miglioramento: le immagini sono brillanti e complessivamente ben corrette. A f/5.6 la qualità ottica è impeccabile su tutto il frame. Ad aperture elevate il coma a bordo immagine è marcato; per la maggior parte delle applicazioni questo non si rivela un problema, tuttavia non è certo l’obiettivo ideale per le notturne urbane se non si è disposti a chiudere almeno a f/2.8. Come quasi tutti i 50mm non macro quest’obiettivo adotta uno schema rigido e di conseguenza la curvatura di campo sulle brevi distanze di fuoco è piuttosto evidente.
Alla massima apertura il fuori fuoco ha un carattere marcato, chiaramente connesso a una sovra correzione dell’aberrazione sferica. Sono frequenti tessiture nervose e transizioni fuoco-fuori fuoco non proprio dolci. Già a f/2 il bokeh si fa ben più morbido e progressivo, mantenendo comunque un proprio carattere, che permane anche ai diaframmi successivi. Gli esemplari in versione MM presentano come al solito un diaframma ridisegnato che evita i profili dentati prodotti tra f/2 e f/4 dalla versione AE; in ogni caso le sei lame del diaframma sottraggono circolarità agli highlight disc sin dalla minima chiusura.
La resistenza ai riflessi interni, considerato il tipo di ottica, è molto buona e sembra non variare tra la versione MM e quella AE; certo non in misura sufficiente a indurre una preferenza.
Circa la metà degli esemplari testati, sia tra gli MM che tra gli AE, ha mostrato una centratura ottica visibilmente imprecisa.
Dal punto di vista meccanico il Planar 50/1.4 sfoggia la tipica qualità Zeiss e non lascia adito a critiche. Rispetto alla media della concorrenza l’obiettivo vanta anche dimensioni piuttosto generose, risultando tra i 50mm vintage più adatti all’utilizzo su un rig completo.
In conclusione, che si tratti della versione AE o della MM, il 50/1.4 Planar per il sistema Contax RTS è sicuramente uno dei primi modelli da valutare se si cerca un 50mm dell’era analogica. Oltre ad offrire prestazioni tecniche di alto livello in relazione al tempo, è una lente – e qui andiamo su note personali ma largamente condivise – in grado di produrre immagini dotate di una tridimensionalità e di una plasticità notevoli.
È importante sapere che oggigiorno molte copie MM del Planar 50/1.4 presentano una separazione del doppietto posteriore i cui effetti, a un’analisi superficiale, sono facilmente confondibili con quelli di una semplice annebbiatura. Purtroppo il difetto, che in pratica non è correggibile, spesso può essere confermato solo disassemblando l’obiettivo per osservare le lenti in maniera diretta. Di conseguenza, qualora si stia valutando l’acquisto di questo Zeiss da un venditore che non accetta il reso, è bene verificare che le lenti appaiano limpide e che le immagini prodotte dall’obiettivo non risultino velate.
Carl Zeiss Planar T* ZF 50/1.4 – Nikon F
Carl Zeiss Planar T* ZF.2 50/1.4 – Nikon F
Quest’obiettivo, ancora oggi acquistabile nuovo, offre prestazioni molto simili a quelle del Planar 50/1.4 per il sistema Contax RTS. Anche per quanto riguarda la resistenza ai riflessi interni non emergono differenze significative. Cambia invece il diaframma, che nel nuovo modello ha 9 lame curve e mantiene gli highlight disc pressoché circolari fino a f/5.6. Essendo pensato per il sistema Nikon, il Planar ZF monta una ghiera della MAF che raggiunge l’infinito ruotando verso destra anziché verso sinistra.
La versione ZF.2 si distingue dalla precedente solo per la presenza di contatti elettrici sulla baionetta. Su corpi di terze parti questi non hanno alcuna influenza.
La massima apertura è piuttosto debole, i colori mancano di pulizia e le aberrazioni cromatiche sono frequenti e ben visibili, così come il flare di coma. Anche alla massima apertura, con soggetti adatti, condizioni di luce non sfavorevoli e a patto di effettuare la dovuta post produzione, si possono ottenere buone immagini. Da f/2 la resa sale su tutto il fotogramma; contrasto e risoluzione aumentano in maniera decisa. Le aberrazioni cromatiche sono ancora visibili ma decisamente meno invadenti e il glow attorno alle alte luci si fa contenuto. A f/2.8 si assiste a un ulteriore, evidente miglioramento; le immagini sono brillanti e complessivamente ben corrette. A f/5.6 la qualità ottica è impeccabile su tutto il frame. Alle massime aperture il coma a bordo immagine è marcato; per la maggior parte delle applicazioni questo non si rivela un problema, tuttavia non è certo l’obiettivo ideale per le notturne urbane, se non si è disposti a chiudere almeno a f/2.8. Come quasi tutti i 50mm non macro, quest’obiettivo adotta uno schema ottico privo di lenti flottanti e di conseguenza la curvatura di campo sulle brevi distanze di fuoco risulta piuttosto evidente.
A f/1.4 il fuori fuoco ha un carattere marcato, chiaramente connesso a una sovra correzione dell’aberrazione sferica. Sono frequenti tessiture nervose e transizioni fuoco-fuori fuoco non proprio dolci. Già a f/2 il bokeh si fa ben più morbido e progressivo, mantenendo comunque un proprio carattere, che permane anche ai diaframmi successivi. La resistenza ai riflessi interni, se comparata a quella degli obiettivi analoghi dell’era manuale, è tutto sommato buona.
Tutte le copie testate hanno mostrato una perfetta centratura ottica.
Dal punto di vista meccanico il Planar ZF 50/1.4 non lascia adito a critiche, se non per lo sconcertante tappo frontale, incomprensibilmente scomodo e fuori misura.
In conclusione si tratta di un ottimo obiettivo, ma solo se comparato alle controparti dell’era analogica, rispetto alle quali esige un tributo economico tendenzialmente più elevato. I motivi per preferirlo al Planar per il sistema Contax sono ristretti al diaframma a 9 lame e alla maggior facilità con la quale si possono reperire copie in ottime condizioni.
Un’ultima nota: rispetto al 50/1.4 del sistema Contax trovo che questa riedizione manchi un po’ di quella plasticità di resa che è stata alla base del successo del modello più datato.
Carl Zeiss Planar T* 50/1.7 (MM) – C/Y
È il più economico biglietto d’ingresso nel mondo Zeiss. La qualità meccanica, però, non è in linea coi modelli più costosi, la ghiera della MAF non è perfettamente fluida e la ghiera dei diaframmi non trasmette l’abituale senso di solidità. Si nota anche un maggior utilizzo di plastiche rispetto agli standard della casa tedesca.
Gli esemplari MM si sono mostrati sistematicamente superiori agli AE. La recensione che segue si basa sulla miglior copia MM.
Dal punto di vista ottico le prestazioni sono molto buone. A f/1.7, come prevedibile, il contrasto è basso, aberrazione sferica, aberrazioni cromatiche e flare di coma sono ben visibili. A dispetto del nome Planar la curvatura di campo è marcata; ai margini del fotogramma il piano di fuoco si posiziona abbondantemente dietro al centro. Anche a quest’apertura è possibile ottenere immagini utilizzabili ma sono richieste condizioni di luce favorevoli e una buona post produzione. A f/2 la situazione è decisamente migliore, si ottengono immagini sempre utilizzabili e solo le aberrazioni cromatiche possono risultare un problema; la qualità d’immagine ai bordi estremi però è ancora limitata. Da f/2.8 la resa si fa ottima in asse e buona ai bordi estremi, le aberrazioni cromatiche sono minime e la curvatura di campo è contenuta. Le immagini prodotte a quest’apertura sono pienamente utilizzabili. Da f/4 l’intero fotogramma offre incisività e pulizia cromatica, la curvatura di campo è praticamente scomparsa. A f/5.6 si verifica l’optimum, le immagini prodotte a questo diaframma sono tecnicamente inattaccabili. La correzione ottica scende significativamente alle coniugate brevi; è forse per questo che la minima distanza di fuoco è stata fissata a ben 60 cm.
La distorsione è difficilmente rilevabile e la vignettatura è pressoché nulla a partire da f/2.8. La resistenza ai riflessi interni è ottima, forse la migliore tra i 50mm del tempo.
La riproduzione del fuori fuoco ai diaframmi più aperti presenta transizioni spesso brusche e gli highlight disc, dietro al piano di fuoco, hanno contorni ben definiti. A partire da f/2.8 le trame dello sfocato si fanno morbide e progressive a tutto campo. Da f/4 il diaframma proietta esagoni ben definiti a causa delle sei lame dritte.
Rispetto al Planar 50/1.4, il 50/1.7 offre prestazioni leggermente inferiori ai diaframmi più aperti, ma si equipara già a f/2.8.
Nel complesso, dal punto di vista ottico, questo Zeiss è indubbiamente uno dei migliori 50- 58mm di luminosità contenuta del periodo vintage. Vanno però tenuti in considerazione i soli 37 mm di lunghezza del barilotto, decisamente scarsi se si utilizza un camera rig.
Carl Zeiss Planar 50/1.8 – QBM
Oberkochen Opton Pl HFT 50/1.8 – QBM
Vedi sistema Rollei.
Carl Zeiss S-Planar T* 60/2.8 (AE) 1:1 – C/Y
Carl Zeiss Makro-Planar T* 60/2.8 (AE, MM) 1:1 – C/Y
Carl Zeiss Makro-Planar c T* 60/2.8 (AE, MM) 1:2 – C/Y
Una pietra miliare nella storia dell’ottica. Fu il primo obiettivo fotografico in grado di raggiungere sia l’infinito che l’1:1 senza accessori. Questo, grazie a un sistema di messa a fuoco a doppia elicoide che al tempo rappresentò una novità assoluta. Le conseguenze fisiche di una simile soluzione meccanica sono un peso di 570g e un diametro massimo di 75,5mm. Entrambi i valori vennero ridotti nella successiva versione “c”, che però non raggiunge l’1:1.
Anche a f/2.8 l’obiettivo è pienamente utilizzabile a qualsiasi distanza di fuoco. Chiaramente, per quanto buona, la massima apertura offre un contrasto indebolito dalle aberrazioni non ancora corrette; si nota un leggero flare di coma, un conseguente accenno di glow nelle zone molto luminose e sovraesposte, nonché una certa suscettibilità alle aberrazioni cromatiche. A partire da f/4 però le immagini sono pulite e brillanti, quell’accenno di morbidezza percettibile a f/2.8 scompare e solo i bordi estremi, più che altro a causa della curvatura di campo, restano indietro. L’aberrazione cromatica laterale, tranne che in situazioni molto difficili, come in presenza di riflessi luminosi su superfici metalliche, è visibile solo a bordo frame e comunque in misura contenuta. A f/5.6 anche i margini del fotogramma si mettono in pari e le immagini risultano ottime a ttutto campo. La riproduzione dei colori è generalmente pulita e accurata.
Va notato che lo schema rigido di questo Planar, ottimizzato al rapporto di riproduzione di 1:10, soffre particolarmente la curvatura di campo se impiegato a distanze diverse da quella ideale. La resa alle distanze di ripresa ottimali è in effetti altissima, si tratta senza dubbi di uno dei migliori macro di tutto il periodo vintage e il migliore in assoluto tra i 50-60/2.8 se si considera la capacità di raggiungere l’1:1 senza accessori.
Lo sfocato si rivela spesso brusco nelle transizioni, specialmente nei passaggi ad alto contrasto, ma è altrimenti morbido. Gli highlight disc sono uniformi, tuttavia, in special modo alla massima apertura, mostrano l’abituale bordo luminoso a causa dello sferocromatismo.
La corsa di fuoco sfiora i 720° ma è concentrata sulle brevi distanze; per mantenere il fuoco sui primi piani sono indispensabili movimenti millimetrici. Per offrire il massimo rapporto di riproduzione il barilotto si estende sin quasi a raddoppiare la propria lunghezza, spostando in avanti anche la ghiera del fuoco. Ciò complica sia l’impiego di un matte box che di un follow focus. La qualità meccanica è impeccabile e il barilotto stesso funge da paraluce, essendo la lente frontale molto incassata.
La versione S-Planar e la successiva Makro-Planar recano lo stesso schema ottico e più o meno le stesse specifiche, collocandosi tra i pochi macro vintage in grado di raggiungere l’1:1. Il Makro-Planar c rappresenta l’alternativa compatta, sensibilmente ridotta nel prezzo, nel peso e nelle dimensioni. Lo scotto da pagare per questo ridimensionamento è una minima distanza di fuoco superiore, che imposta il massimo rapporto di riproduzione a 1:2. È comunque possibile raggiungere il territorio della macro anche con questo obiettivo tramite l’utilizzo di tubi di prolunga. Lo schema ottico è identico per tutte e tre le versioni e le modifiche apportate negli anni al trattamento T* non hanno influito in maniera evidente né sulla resistenza ai riflessi interni né sulla risposta cromatica. Le versioni MM, come d’uso, montano un diaframma ridisegnato ed evitano il ninja-star bokeh.
Carl Zeiss Planar T* 85/1.4 (AE, MM) – C/Y
Per molti versi il capostipite degli 85mm super luminosi. In montatura Arriflex, con un insolito diaframma triangolare a sei lamelle, trovò notevole fortuna in campo cinematografico. Lo si riconosce ad esempio in certe notturne del film Taxi Driver.
Ma veniamo alla versione per Contax RTS. La meccanica è ottima, nessuna copia ha dato segni di wiggle. La minima distanza di fuoco di 1 metro, però, è deludente; gran parte degli 85mm arriva almeno a 85 cm. Le dimensioni piuttosto generose permettono all’obiettivo d’integrarsi con facilità nella maggior parte dei rig. A questo proposito va segnalato che la ghiera della MAF, piacevolissima nell’uso manuale, tende un po’ a sforzare i follow focus per via di una frizione superiore alla media.
La resa alla massima apertura, come prevedibile, risulta morbida e infestata da ogni tipo di aberrazione. Tuttavia, nella porzione centrale del fotogramma, il piano di fuoco produce un contrasto e una risoluzione generalmente sufficienti per la ritrattistica. A quest’apertura si ottengono immagini molto caratterizzate, sia per la profondità di campo limitata che per la progressiva perdita di contrasto nelle zone fuori fuoco, dove coma e aberrazione sferica sono evidenti. A f/2, come al solito, si ha un’impennata qualitativa e la resa in asse si equipara o supera quella dei migliori 85/1.8 del periodo; i bordi, invece, restano indietro. A f/2.8 la nitidezza sale ulteriormente, raggiungendo livelli molto buoni su quasi tutto il frame e sufficienti ai margini estremi. A f/4 si verifica l’ultimo progresso rilevante in termini di correzione ottica, col fotogramma che produce ottimi livelli di nitidezza pressoché a tutto campo, lasciando indietro solo gli ultimi millimetri, comunque buoni. A f/5.6 c’è un ulteriore, leggerissimo miglioramento nella qualità d’immagine periferica. Da f/8 gli effetti della diffrazione sono evidenti e la resa complessiva inizia a scendere, restando su livelli comunque buoni anche a f/11.
Il focus shift è elevato.
A differenza di quanto accade con la maggior parte delle ottiche super luminose di un tempo, la paletta colori è costante attraverso tutte le aperture; non si nota come spesso accade una forte dominante cromatica che caratterizza i diaframmi più aperti e poi scompare chiudendo uno o due stop. Da f/2.8, ridotte le varie aberrazioni, i colori appaiono completamente puliti, fedeli e brillanti. L’aberrazione cromatica laterale si mostra elevata e persistente a bordo frame, dove lascia impronte persino a f/8; in asse, invece, già a f/1.4 è raramente eccessiva e da f/2 è solitamente trascurabile. L’aberrazione cromatica longitudinale è nella norma per una lente così luminosa; volendone evitare del tutto gli effetti è necessario chiudere almeno a f/4.
La restituzione del fuori fuoco è generalmente morbida, ma in condizioni difficili non è estranea a brusche transizioni e doppi contorni. La distorsione è irrilevante e la vignettatura è pressoché scomparsa già a f/2. La resistenza ai riflessi interni alla massima apertura è decisamente debole, ma la situazione migliora rapidamente chiudendo il diaframma. Il vasto elemento frontale, tuttavia, non perdona in condizioni di controluce; in questi casi, anche a f/5.6, la perdita di contrasto è pesante. A questo riguardo non ho notato differenze significative tra la versione MM e l’AE, nonostante usufruiscano di trattamenti antiriflesso diversi.
In molti concordano che le copie nipponiche siano migliori alla massima apertura e inferiori ai diaframmi intermedi rispetto alle controparti teutoniche. I miei test non hanno confermato questa tesi ma ovviamente non possono ritenersi conclusivi vista la campionatura estremamente limitata.
La versione MM ha come d’uso un diaframma riprogettato per evitare il ninja star bokeh prodotto tra f/2 e f/4 dalla versione AE.
Carl Zeiss Sonnar T* 85/2.8 (AE, MM) – C/Y
Persino in relazione all’apertura massima contenuta e alla focale non estrema, le prestazioni ottiche sono notevoli.
La piena apertura offre già un contrasto e una risoluzione elevati a tutto campo. I colori sono brillanti e la differenza di resa tra centro e bordi è pressoché nulla. Vignettatura e distorsione sono impercettibili. Sin da f/2.8, anche ai margini del frame, l’aberrazione cromatica laterale si mantiene entro livelli non eccessivi; da f/4 emerge solo in situazioni estreme. Come prevedibile, trattandosi di un Sonnar, la resa del fuori fuoco è morbida e progressiva, in particolare dietro al piano di fuoco.
La resistenza ai riflessi interni è il punto debole della versione AE, la MM si comporta decisamente meglio in questo campo. Come al solito la versione più moderna offre anche un diaframma ridisegnato, che non produce aperture dai contorni seghettati.
Il Sonnar 85/2.8 è più leggero e appena più lungo del Planar 50/1.4. Una compattezza ovviamente estranea agli 85mm più luminosi. La corsa di fuoco è buona e la meccanica è Zeiss.
Il diaframma massimo f/2.8 e la distanza di fuoco di 1 m, a fronte dei più comuni 85cm, sono gli unici limiti oggettivi di questa lente.
Carl Zeiss Makro-Planar T* 100/2.8 (AE) – C/Y
Questo modello è stato prodotto solo in versione AE, di conseguenza è dotato di un diaframma che nel chiudersi produce un foro dalla forma dentata. L’effetto è ben visibile a f/4 e scompare a f/5.6.
L’obiettivo permette di raggiungere l’1:1 senza bisogno di accessori, si tratta quindi di un vero macro.
Dal punto di vsta ottico non c’è molto da dire, la resa è elevata e omogenea a tutto campo sin dalla piena apertura. Particolarmente buona è la correzione dell’astigmatismo, alla quale si associa una curvatura di campo ben contenuta. La vignettatura è rilevabile solo verso gli angoli del fotogramma e la distorsione è quasi nulla. Il quadro appena descritto resta sostanzialmente invariato dalla massima distanza di fuoco al rapporto di riproduzione di 1:10, grazie anche alla presenza di un elemento flottante. Giunti all’1:1 l’obiettivo cede un po’ su tutti i fronti ma si mantiene su quelli che erano i massimi livelli del tempo e che ancora oggi sono parametri di tutto rispetto. Alla minima distanza di fuoco sono notevoli soprattutto l’omogeneità di resa tra centro e bordi e la planeità di campo. Solo le aberrazioni cromatiche, a infinito come in macro, rivelano l’anzianità dell’ottica.
La resistenza ai riflessi interni è buona ma cede in presenza di forti controluce. A f/2.8, quando un’intensa sorgente luminosa viene introdotta nel quadro, si produce un ampio riflesso circolare iridescente e l’intera immagine appare velata.
Il fuori fuoco, sia per quanto concerne le tramature che la riproduzione degli highlight disc, soprattutto verso i margini del fotogramma soffre con facilità la presenza di soggetti difficili come aree ad alto contrasto e sorgenti luminose.
La qualità costruttiva è ottima e la ghiera del fuoco ruota di circa 720°. Questo permette un buon controllo sulle transfocature a qualsiasi distanza dal soggetto. Di contro, passando dall’infinito all’1:1 il barilotto arriva quasi a triplicare la propria lunghezza, tra l’altro spostando avanti di diversi centimetri la ghiera del fuoco. Sia l’utilizzo di un mattebox non clamp-on che di un follow focus risultano di conseguenza poco praticabili. Va aggiunto che l’obiettivo pesa quasi 750g e che quindi, quando il barilotto è allungato, può risultare complesso da bilanciare su una camera leggera e compatta come spesso sono le camere digitali odierne.
Considerata la mole di questo Zeiss, per l’adattamento a Canon EF è decisamente più consigliabile una sostituzione della baionetta che l’impiego di un anello adattatore.
Carl Zeiss Sonnar T* 135/2.8 (MM) – C/Y
Gli MTF ufficiali mostrano che nel passaggio alla versione MM l’obiettivo ha subito un aggiornamento migliorativo dello schema ottico, oltre all’abituale ridisegno del diaframma per evitare il ninja-star bokeh.
L’obiettivo è fortemente ottimizzato per le lunghe distanze di fuoco e cede in maniera visibile se focheggiato sotto i quattro metri, passando da un contrasto e una risoluzione che in un’ottica non apocromatica di questa luminosità e focale erano a suo tempo ai massimi livelli, a prestazioni abbastanza mediocri. Il fatto che la minima distanza di fuoco non scenda sotto i 160 cm credo indichi in maniera chiara quali siano state le priorità progettuali nel disegnare questa lente.
In 4 copie su 7 la camma interna alla quale sono connessi il paraluce e il nameplate frontale presentava un gioco evidente. Questo cilindro tende ad allentarsi con una certa facilità quando si svitano filtri frontali serrati con forza ma può essere riavvitato a mano senza alcun problema. Il paraluce retrattile, che si muove in maniera imprecisa e non trova una vera e propria posizione di blocco, lascia un po’ perplessi considerata la fama del brand. Al di là di queste mancanze l’esperienza di utilizzo a mano libera trasmette quel senso di robustezza, di precisione e di affidabilità al quale si è abituati lavorando con ottiche Zeiss.
Oltre a essere privo di un attacco per treppiedi l’obiettivo non presenta superfici immobili abbastanza ampie per un collare né per un sostegno da camera rig. Anche per questo motivo l’utilizzo di un follow focus è improbabile che offra risultati accettabili in quanto a stabilità del fotogramma. Trattandosi di una lente con attacco C/Y piuttosto lunga e pesante, per montarla su corpi EF è consigliabile ricorrere a un kit di modifica piuttosto che a un anello adattatore.
La resistenza ai riflessi interni di certo non aggiunge lustro al celeberrimo trattamento T*. Questo è vero specialmente a f/2.8, diaframma al quale i flare possono spesso rappresentare un problema.
Sin dalla piena apertura contrasto e risoluzione sono molto buoni su tutto il campo, la vignettatura è pressoché nulla e così la distorsione. Da f/4 la resa è ottima su tutto il fotogramma e i riflessi interni sono decisamente ridotti. La massima apertura accusa in maniera evidente le aberrazioni cromatiche, ma già a f/4 le immagini sono pulite nella maggior parte dei casi. In considerazione dei livelli di contrasto offerti e dal momento che lo schema ottico non include vetri a bassissima dispersione non sarebbe lecito aspettarsi tanto di più da un obiettivo di questa focale e luminosità, tuttavia non sono rari i 135/2.8 coevi che nel campo delle aberrazioni cromatiche riescono a fare di meglio. Riguardo al contrasto e alla risoluzione sulle lunghe distanze di fuoco, invece, il Sonnar non ha concorrenti tra le ottiche omologhe del tempo.
Delude un po’ la fedeltà cromatica, l’intonazione è decisamente fredda e tendente al magenta.
A f/2.8 gli highlight disc possono apparire un po’ nervosi e leggermente bordati e le transizioni fuoco-fuori fuoco, con soggetti ad alto contrasto, possono risultare un po’ brusche. Nella maggior parte dei casi però non si notano problemi. Da f/4 la riproduzione dello sfuocato si fa decisamente morbida e graduale, si può avanzare qualche appunto giusto per il diaframma a sei lame dritte.
Il focus breathing è piuttosto contenuto rispetto alla media dei 135mm, mentre il focus shift è elevato.
In sostanza l’obiettivo mostra delle debolezze alla massima apertura, ma già da f/4 è difficile trovare motivi di critica. Dal punto di vista ottico questo Zeiss è sicuramente uno dei migliori 135mm dell’era manuale. Tuttavia sul fronte della minima distanza di fuoco, del contenimento delle aberrazioni cromatiche e della resistenza ai riflessi interni sarebbe lecito aspettarsi di più da un obiettivo di metà anni ’70 con queste specifiche e di questo blasone.
Venendo a considerazioni meno tecniche, del Sonnar 135/2.8 C/Y sorprende soprattutto la capacità di stacco tra il piano di fuoco e il resto dell’immagine. Si tratta di una caratteristica evidente quando si effettua un confronto diretto tra questo obiettivo e gli altri 135mm del compendio.
Carl Zeiss Sonnar T* 180/2.8 (MM) – C/Y
La versione MM si differenzia dalla AE non solo per l’abituale diaframma in verde ma anche per il barilotto cilindrico privo di svasatura. In questa seconda edizione l’obiettivo usufruisce di migliorie evidenziate dagli MTF ufficiali e riduce il proprio peso da 985 a 815g. L’analisi che segue si basa su 3 copie MMJ.
Insolitamente per un teleobiettivo, il Sonnar 180 presenta uno schema flottante; questo aiuta a ridurre le aberrazioni anche sulle brevi distanze di fuoco. Le prestazioni ottiche sono quelle che ci si aspetta da un buon 180mm dell’era analogica privo di lenti a bassa dispersione. Alla massima apertura l’obiettivo è un po’ fiacco, le immagini sono utilizzabili ma beneficerebbero sicuramente di una spinta di contrasto. La resa tra centro e bordi però è uniforme. A f/4 la correzione ottica migliora in maniera visibile e il contrasto sale a un buon livello, accompagnato da un deciso aumento della risoluzione. A f/5.6 l’obiettivo raggiunge l’apice delle proprie capacità, con risultati decisamente buoni ma non eccezionali.
Le aberrazioni cromatiche sono spesso invasive e la resistenza ai riflessi interni è bassa; in situazioni di controluce il fotogramma si vela e il contrasto precipita. La resa cromatica è leggermente fredda, tendente al blu; negli incarnati emergono spesso toni magenta.
La riproduzione del fuori fuoco è morbida, con highlight disc generalmente uniformi ma soggetti a sferocromatismo.
La qualità meccanica è ottima e il barilotto include un paraluce collassabile, non particolarmente utile su sensori S35 per via delle dimensioni ridotte. L’obiettivo non presenta un attacco per treppiedi né superfici immobili sufficientemente ampie da poter accogliere un collare o un sostegno di stabilizzazione da rig. La minima distanza di fuoco è di 1.5m, una misura decisamente contenuta per un obiettivo di questa focale.
Nonostante i molti limiti, si colloca tra i migliori 180-200mm non apocromatici del tempo.