Attacco M42
La storia della Meyer-Optik Görlitz ebbe inizio ai primi del ‘900 e si protrasse sino al 1970, quando l’azienda fu assimilata dalla nascente VEB Pentacon. La Pentacon continuò a proporre sotto il proprio marchio diversi modelli della Meyer-Optik, talvolta leggermente modificati, sino a terminare la produzione di obiettivi fotografici nel 1991. In genere i Meyer-Optik sono considerati migliori delle controparti Pentacon in quanto si ipotizza che l’impresa di Görlitz attuasse controlli di qualità più rigidi; nella mia esperienza questa teoria non trova riscontro.
La qualità meccanica dei Meyer-Optik e dei Pentacon, negli obiettivi superiori ai 50mm, è solitamente buona; ottima nelle focali più lunghe. I fenomeni di wiggle sono quasi nulli, in genere si fanno visibili solo con l’impiego di un follow focus. Le prestazioni ottiche sono in linea con la media del tempo e risentono dell’anzianità di progettazione. Gli antiriflesso, benché multistrato, sono poco efficienti, anche perché spesso messi in difficoltà dalle lame non opacizzate dei diaframmi.
Gli obiettivi Meyer Optik e Pentacon sono molto apprezzati per le lunghe corse di fuoco, i diaframmi fluidi a 15-19 lame, il bubble bokeh prodotto da certi modelli e i prezzi di vendita decisamente contenuti.
L’attacco proprietario Pentacon è ottimo in termini di stabilità nell’adattamento a Canon EF, in quanto gli adattatori P6-EF si avvitano alla baionetta Pentacon e di conseguenza evitano qualsivoglia gioco tra adattatore e obiettivo.
Un elenco completo degli obiettivi Meyer-Optik Görlitz dell’era analogica è consultabile sul sito AllPhotoLenses. Per i Pentacon esiste invece una buona sezione su Camera-Wiki.
In tempi recenti il marchio Meyer-Optik Görlitz è risorto e gli obiettivi che hanno fatto la storia del brand sono riapparsi sul mercato assieme ad alcune riedizioni di ottiche Carl Zeiss Jena. Rispetto alle versioni originali i nuovi obiettivi sono migliorati sotto l’aspetto meccanico, ora ineccepibile, e presentano un disegno ottico rivisitato, volto a offrire prestazioni migliori pur mantenendo il carattere distintivo dei modelli predecessori, soprattutto per quanto riguarda la riproduzione del fuori fuoco. Al famoso bubble bokeh si accompagnano ora una superiore nitidezza e un trattamento antiriflesso più efficace. Queste nuove lenti, completamente meccaniche e disponibili anche in montatura Canon EF, sono acquistabili direttamente dall’azienda tedesca attraverso il sito web ufficiale: Meyer-Optik Görlitz.
Meyer-Optik Görlitz Orestor “Zebra” 100/2.8
La recensione che segue fa riferimento alla versione originale di questa lente, ufficiosamente chiamata “Zebra” per via delle ghiere del fuoco e dei diaframmi dal caratteristico disegno a strisce. Questo modello monta un diaframma fluido a 15 lame comandato da una ghiera dotata di funzione preset, collocata in prossimità della lente frontale. Per utilizzare la funziona preset è necessario spostare la ghiera verso la lente frontale e ruotarla sino a far combaciare il marcatore rosso col diaframma desiderato.
L’Orestor 100/2.8 seconda versione, sebbene possa a volte riportare la dicitura Meyer-Optik Görlitz, pare fosse già di produzione VEB Pentacon; reca uno schema ottico leggermente modificato e un’impostazione meccanica classica, con un diaframma a 6 lame comandato da una ghiera posta in prossimità della base del barilotto; questo nuovo modello si è dimostrato meno affidabile dal punto di vista della qualità costruttiva.
A tutta apertura l’Orestor “Zebra” è già utilizzabile in gran parte dei casi; a dare problemi è più che altro la scarsa resistenza ai riflessi interni. In situazioni di controluce, non diaframmato, l’obiettivo crea facilmente un intenso flare anulare e produce immagini velate, a basso contrasto e saturazione ridotta. In condizioni più semplici contrasto e risoluzione sono più che sufficienti e permettono buone immagini anche a f/2.8, specialmente sulle brevi distanze di fuoco. A f/4 la resa migliora a tutto tondo ma le lamelle del diaframma, altamente riflettenti, non aiutano il contenimento dei riflessi interni. Contrasto e risoluzione però fanno un passo avanti e le aberrazioni cromatiche appaiono contenute. Chiudendo ancora la resa in asse si perfeziona con estrema lentezza, è solo ai margini del frame che si nota un vantaggio significativo. Ha senso chiudere il diaframma oltre f/5.6 solo per esigenze di profondità di campo.
La vignettatura a f/2.8 è leggerissima, difficilmente percepibile; da f/4 è praticamente nulla, così come la distorsione.
Il fuori fuoco è morbido e progressivo. Solo a f/2.8, condizionati da un marcato bokeh fringing, gli highlight disc possono presentare un bordo netto.
Data la corsa di fuoco di circa 345°, per le transfocature più lunghe sono necessari follow focus e speed cranck o un follow focus elettronico impostato ad hoc. Da notare però che mentre a mano libera nessuna copia ha mostrato severi problemi di wiggle, col follow focus questo difetto è emerso in maniera sistematica.
L’attacco M42 del Meyer-Optik 100/2.8 è removibile; la presa di forza zigrinata, utile per svitarlo, sebbene vada a collocarsi in una posizione un po’ scomoda in quanto molto vicina al corpo macchina, può essere utilizzata per accogliere un sostegno lente da camera rig.
L’Orestor 100/2.8 fece la sua comparsa sul mercato nel 1966; l’anzianità di progettazione risulta evidente se si confronta l’obiettivo con i modelli equivalenti prodotti negli anni ’70 e ’80 sia in Germania che in Giappone. Il raffronto con l’Olympus OM 100/2.8, ad esempio, è davvero impietoso. Alla massima apertura l’ottica nipponica offre un’incisività a bordo immagine che il Meyer-Optik non raggiunge neppure a f/5.6.
Meyer-Optik Görlitz Orestor “Zebra” 135/2.8
Pentacon 135/2.8
Le due versioni presentano il medesimo schema ottico, che poi è lo stesso utilizzato, in dimensioni ridotte, nell’Orestor 100mm. Mentre il Meyer-Optik è disponibile solo in versione “Zebra”, con le ghiere del fuoco e dei diaframmi dalla caratteristica estetica bicolore, il Pentacon esiste anche in veste nera. Tutti i modelli offrono le stesse prestazioni ottico/meccaniche e montano un diaframma fluido a 15 lame comandato da una ghiera dotata di funzione preset, posta in prossimità della lente frontale. Per utilizzare la funziona preset è necessario spostare la ghiera verso la lente frontale e ruotarla sino a far combaciare il marcatore rosso col diaframma desiderato.
Il più moderno Pentacon 135/2.8 MC, dotato di diaframma a 6 lame e impostazione meccanica classica, reca uno schema ottico leggermente diverso e una qualità meccanica inferiore, più suscettibile a problemi di wiggle. La recensione che segue si riferisce ai modelli precedenti.
A f/2.8, sulle lunghe distanze di fuoco, il contrasto è medio e la nitidezza è più che sufficiente nella maggior parte dei casi. Su distanze di fuoco ridotte l’obiettivo da il meglio di sé, a centro immagine rivaleggia senza problemi sin dalla piena apertura con le migliori ottiche omologhe anche degli anni ’80. A f/4 la resa ottica è molto buona in asse e sufficiente ai bordi estremi; siamo già vicini alle prestazioni massime, che si raggiungono a f/5.6. In ogni caso neppure a questo diaframma, sulle lunghe distanze di fuoco, l’obiettivo raggiunge i livelli di risoluzione della concorrenza pù blasonata. Inoltre la disparità di resa tra centro e bordi si mantiene visibile a qualsiasi apertura e distanza di fuoco. A f/2.8 le aberrazioni cromatiche sono evidenti solo se la combinazione soggetto/luce è molto complessa, in genere l’obiettivo si comporta bene in questo ambito, considerata l’assenza di vetri a bassissima dispersione. L’aberrazione cromatica laterale viene praticamente soppressa a f/4 e quella longitudinale a f/5.6. La vignettatura è contenuta sin dalla piena apertura e la distorsione geometrica è irrilevante.
Il fuori fuoco è morbido e progressivo. Solo a f/2.8, condizionati da un marcato bokeh fringing, gli highlight disc possono presentare un bordo netto.
Le lamelle del diaframma non sono ben opacizzate. Questo influisce negativamente sul contrasto soprattutto in situazioni di controluce. A f/2.8 la scarsa resistenza ai riflessi interni può rivelarsi un problema a causa di un invadente flare circolare, impossibile da evitare quando una forte sorgente di luce viene inclusa nel fotogramma.
Alla massima apertura l’obiettivo è circa 1/3 di stop meno luminoso degli altri 135mm di questo compendio. Sono ragionevolmente certo che non si tratti di un semplice problema di trasmittanza in quanto, effettuando un confronto diretto con altri 135/2.8 utilizzati alla massima apertura, la profondità di campo prodotta dal Meyer-Optik a f/2.8 risulta più elevata. In sostanza la reale luminosità dell’Orestor 135mm è prossima a f/3.2.
In tutti gli esemplari testati la ghiera della MAF si è dimostrata perfetta sia dal punto di vista dell’omogeneità che della frizione, sia per l’utilizzo a mano libera che col follow focus. Nessuna delle copie testate ha presentato gravi problemi di wiggle durante l’utilizzo a mano libera e solo due hanno rivelato questo difetto in forma contenuta; in entrambi i casi il frame shift si è completamente risolto montando l’obiettivo in posizione ruotata.
L’attacco M42 dell’obiettivo è removibile; la presa di forza zigrinata, utile per svitarlo, sebbene vada a collocarsi in una posizione un po’ scomoda in quanto molto vicina al corpo macchina, può essere utilizzata per accogliere un sostegno lente da camera rig.
L’obiettivo ha una filettatura frontale da 55mm ma viene abitualmente venduto con un piccolo paraluce in metallo dotato di filettatura da 58mm e con un tappo anteriore ad esso dedicato. Per questo motivo il paraluce viene spesso ritenuto solidale col barilotto.
L’anzianità di progettazione dell’Orestor 135/2.8, una lente uscita sul mercato nel 1966, risulta evidente quando si confronta l’obiettivo con modelli più recenti e di fascia alta. Lo Zeiss/Contax 135/2.8 MM, ad esempio, offre un contrasto e una risoluzione periferica che a tutta apertura pareggiano l’Orestor diaframmato due stop. Per questo motivo, escluse le preferenze soggettive in merito al rendering dell’immagine, le ragioni per puntare al Meyer-Optik sono essenzialmente tre: il prezzo contenuto, il diaframma fluido a 15 lame e la generosa corsa di fuoco. A questo proposito va segnalato che per transfocature lunghe, data l’escursione di circa 345° offerta dalla ghiera della MAF, è indispensabile utilizzare un follow focus dotato di speed cranck o un fuoco remotato impostato ad hoc. I motivi principali per evitare questo Orestor sono invece la ridotta luminosità effettiva e la pessima resistenza ai riflessi interni a f/2.8.
Perché tanto approfondimento su un’ottica tutto sommato mediocre? Perché al di là dei test le prestazioni sul campo mi hanno sempre pienamente soddisfatto; al punto che questo Meyer-Optik è stato il 135mm del mio corredo personale per almeno sei anni. È una lente non solo molto economica ma anche leggera e comoda da utilizzare, grazie soprattutto a una ghiera del fuoco ben posizionata, ben frizionata e dotata di una lunga corsa. Inoltre il diaframma a 15 lame riproduce gli highlight disc in maniera sostanzialmente circolare anche chiudendo qualche stop. Infine trovo particolarmente piacevole la resa complessiva di questo obiettivo, sia per quanto concerne i colori che i contrasti che il fuori fuoco.